Nessun patto con Cosa nostra, o meglio «appare quantomai illogico ammettere che il patto sia stato certamente stipulato». Parlano chiaro le 54 pagine di motivazioni con cui la corte di Cassazione, sesta sezione penale, respinge il ricorso del procuratore generale della corte d’Appello di Catania contro l’assoluzione di Raffaele Lombardo nell’ambito del processo che lo vedeva imputato con l’accusa di avere promesso favori alla mafia in cambio di voti.
Secondo la Cassazione, infatti, non si è riscontrata «la prova del patto in virtù del quale l’uomo politico, in cambio dell’appoggio elettorale, si impegni a sostenere le sorti della stessa organizzazione in un modo che, sin dall’inizio, sia idoneo a contribuire al suo rafforzamento o consolidamento: irrilevante la concreta esecuzione delle prestazioni promesse – spesso rilevante solo a fini di prova». In pratica non si è riuscito a dimostrare che ci fosse un accordo tra l’ex presidente della Regione e leader del Mpa e la mafia.
«La condotta di concorso esterno nell’associazione mafiosa – spiegano inoltre i magistrati – ritagliata su attività politico-amministrative del concorrente esterno, richiede la prova che sulla base di un patto di scambio il politico abbia assicurato all’organizzazione il controllo di tutto o parte delle attività politiche-amministrative una volta eletto». Quindi la sesta sezione presieduta da Anna Petruzzellis dà ragione alla sentenza dell’appello bis, quella che assolve Lombardo, di cui ritengono «corretto il ragionamento svolto».
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