Migrazione, convegno contro pregiudizi etnici e paure   «Terroristi vengono da posti dove c’è poca integrazione»

«Il primo anno della festa Tamil organizzata a Palermo gli unici italiani erano gli agenti della Digos. L’anno dopo la presenza del sindaco ha contribuito a far intervenire molta gente del quartiere. Qui a Palermo, dal punto di vista urbanistico manca un ghetto fisico, ma esiste quello psicologico». A dirlo è Adham Darawsha, medico palestinese ed ex presidente della consulta delle culture, e la sua è una delle tante testimonianze degli sforzi fatti in città in tema di integrazione, nel corso della conferenza organizzata dal centro Pio La Torre su Migrazioni del XXI secolo: accoglienza e integrazione per sconfiggere pregiudizi etnici e paure.

All’incontro, al cinema Rouge et noir, sono intervenuti anche il questore di Palermo, Guido Longo, Adham Darawsha della Consulta delle Culture di Palermo e Maria Giulia Manzella, volontaria del centro Astalli di Palermo, moderati da Franco Garufi, del centro studi La Torre. «I dati in nostro possesso e le operazioni di polizia giudiziaria condotte finora a livello internazionale mostrano come il terrorismo cerchi di arruolare i soggetti economicamente più fragili – ha detto il questore – e a parte il caso dell’attentatore di Berlino, Anis Amri, il terrorismo non ha nessi con il fenomeno migratorio. Il terrorista generalmente proviene da ambienti nei quali l’integrazione non è stata curata. Lo stereotipo che considera terrorista ogni musulmano è una forma scriteriata di discriminazione. I migranti sono le prime vittime dello sfruttamento criminale». 

Nel corso della conferenza il sociologo Maurizio Ambrosini ha fornito delle stime globali del fenomeno, incrociando dati Acnur e Istat: «L’86 per cento dei rifugiati nel mondo (pari a 65,3 milioni nel 2015) è accolto dai Paesi del cosiddetto terzo mondo e solo meno del 10 per cento viene accolto dall’Unione europea – ha detto – I Paesi più coinvolti nell’accoglienza sono infatti Turchia (2,5 milioni), Pakistan (1,6 milioni) e Libano (1,1 milioni). Su cinque milioni e mezzo di migranti, circa 180mila persone, il 3 per cento del totale, gode dell’asilo politico – ha aggiunto Ambrosini – Per quanto riguarda l’Italia, gli immigrati che vivono nel nostro Paese vengono prevalentemente da Romania (1 milione), Albania, (mezzo milione), a seguire Marocco, Cina, Ucraina, Filippine».

Critico sulle lungaggini burocratiche si è mostrato Darawsha: «La procedura per stabilire se in Italia un rifugiato può ottenere il diritto d’asilo o no è demenziale, perché è troppo lunga – ha detto – L’accoglienza funziona quando il profugo diventa presto cittadino. Certo, non si può far finta che il problema della sicurezza non esista, ma siamo in un Paese dove esistono almeno cinque mafie, la propensione all’illegalità è forte e la criminalità guarda con interesse ai soggetti più fragili». La volontaria Manzella ha poi ricordato l’importanza della prevenzione culturale, come ha fatto il centro Astalli con il progetto finestre – storie di rifugiati che ha permesso di far incontrare a un gruppo di studenti palermitani dei rifugiati che hanno raccontato la propria storia. Contro la paura del diverso e gli stereotipi si è pronunciata anche il medico Ornella Dino, intervenuta dalla platea e che da 15 anni lavora con i migranti e si trova a fronteggiare le prime emergenze sanitarie negli sbarchi a Palermo: «I primi motivi che spingono le donne migranti a ricoverarsi sono dovuti alle gravidanze, per gli uomini spesso le cause sono traumi da ferite o ustioni da carburante. Chi si imbarca è mediamente più sano e giovane, non esiste il mito delle malattie esotiche portate dai migranti, è una falsità».

Il questore ha poi ricordato il duplice impegno, insieme a prefettura e forze dell’ordine, a Palermo, sia sul versante della regia dell’accoglienza che nella lotta «allo sfruttamento disumano dei migranti – ha detto Longo – culturalmente non eravamo neanche preparati a fronteggiare un fenomeno migratorio come quello registrato negli ultimi dieci anni, ma stiamo andando molto avanti nel processo di integrazione». Un modello diventato riferimento per molti, nonostante persistano sacche di sfruttamento selvaggio, come ha ricordato Garufi: «In Italia siamo ancora di fronte a fenomeni di semi schiavismo: i migranti sono diventati la riserva del lavoro nero. Inoltre ritengo andrebbe abolito il reato di immigrazione clandestina». Ai tanti studenti presenti in sala e collegati da tutta Italia in videoconferenza, Adham Darawsha, ha regalato, non senza humour, degli aneddoti sul suo arrivo a Palermo e sugli sforzi di integrazione a cui ha assistito, a partire dalla difficile comprensione e reciproca convivenza tra religioni diverse: «Al mio insediamento in ufficio – ha detto ai ragazzi – ho visto nella stanza un crocefisso riposto in una scatola. Ho chiesto pacatamente delle spiegazioni e mi è stato risposto che era stato rimosso perché sono un musulmano. Ho chiesto allora di rimetterlo, perché sono sì un musulmano, ma sono anche di Nazareth e Gesù era un mio compaesano».


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