Tra le 394 persone arrivate sabato scorso al porto di Catania ci sarebbero anche due appartenenti alle organizzazioni criminali che pianificano i viaggi dalla Libia. Poco chiari i motivi che li avrebbero portati a rischiare l'arresto. «Le Ong operano in condizioni di difficoltà, rischiando l'incolumità», dichiara il procuratore
Migranti, due trafficanti fermati sulla barca di Moas Zuccaro: «Trovati grazie al video che ci hanno dato»
«Se ci fosse stata la polizia italiana nessuno sarebbe scappato». Carmelo Zuccaro riparte da dove aveva lasciato. Appena due giorni fa davanti alla commissione parlamentare Antimafia, il procuratore capo di Catania ha ribadito che, per colpire il traffico di esseri umani nel Mediterraneo, c’è bisogno che le istituzioni forniscano gli strumenti e le autorizzazioni necessari a perseguire i criminali già in mare. In quelle acque internazionali che, nelle ultime settimane, hanno fatto da sfondo alle polemiche sulla presunta poca trasparenza delle attività di alcune Ong. «I mezzi ci sono, bisogna che ci venga concesso di usarli», sottolinea.
Il magistrato ha parlato questa mattina nel corso della conferenza stampa sul fermo di due presunti trafficanti libici. Abouzid Nouredine Alhadi, di 21 anni, e Hurun Gafar, di 25, viaggiavano a bordo della nave Phoenix insieme ad altre quasi quattrocento persone e sono stati bloccati nel porto etneo sabato pomeriggio. Con loro, il cadavere di Kellie Osman, 21enne della Sierra Leone ucciso da un colpo esploso perché – pare – il giovane non si sarebbe tolto il cappellino da baseball, nel momento in cui l’imbarcazione di Moas si apprestava a intervenire in soccorso dei migranti.
«Non si tratta di scafisti ma trafficanti – specifica subito Zuccaro -. Soggetti assolutamente pericolosi, perché agiscono con una efferatezza spietata e gratuita». L’individuazione dei due – accusati di associazione per delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e, nel caso di Alhadi, di concorso in omicidio – è stata possibile grazie alle foto e al video girato dall’aereo di Moas, nel quale si vede il 21enne passare da una barca di piccole dimensioni all’imbarcazione più grande sulla quale viaggiavano i migranti. «Dalle immagini si intuisce che il rapporto che l’uomo ha con gli altri è alla pari – continua il magistrato -. Abbiamo ascoltato diversi testimoni e ci hanno confermato la sua presenza sulla spiaggia al momento di organizzare la partenza della nave».
I due libici, ascoltati dal gip, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Fatto questo che rende al momento più difficile capire come mai abbiano scelto di viaggiare con i migranti, consapevoli di rischiare l’arresto. «Non siamo ancora in grado di stabilire il perché, ma le immagini sono evidenti, con il soggetto che viene ripreso mentre saluta i compagni», affermano i magistrati. Sulla ricostruzione dell’omicidio si è espresso, invece, il dirigente della Squadra mobile Antonio Salvago. «Abbiamo ascoltato il fratello della vittima e ci ha detto che il 21enne non parlava l’arabo. Potrebbe non aver capito l’ordine di togliersi il berretto», spiega.
La novità più grande però rimane la collaborazione tra gli inquirenti e Moas. Soltanto una settimana fa, infatti, dall’organizzazione era arrivata una ferma presa di posizione in risposta alle parole di Zuccaro, giudicate avventate e a rischio strumentalizzazione. «Il personale di bordo ci ha fornito la registrazione – ripete il procuratore -. Si tratta della prima occasione anche perché soltanto da aprile la Ong ha in dotazione un aereo». Il contatto, tuttavia, si è limitato soltanto all’indagine sui due trafficanti. «Non ho incontrato i coniugi Catrambone né abbiamo parlato di altri argomenti», chiarisce Zuccaro. Che, nel soffermarsi sulla necessità di intervenire nella prevenzione del traffico di migranti, riconosce alla organizzazione non governativa il fatto di operare in condizioni rischiose. «I trafficanti, prima di ripartire, hanno impedito l’affondamento del natante e Moas ha dovuto abbandonare il proposito per non mettere a repentaglio la vita del personale. Se ci fossimo stati anche noi in quella zona ciò non sarebbe accaduto. Sarebbero stati i trafficanti a dovere scappare e molto probabilmente – conclude il procuratore – non ce l’avrebbero fatta perché li avremmo bloccati».
Intanto, sempre oggi, tre nigeriani sono stati arrestati dalla polizia di Agrigento, su disposizione della direzione distrettuale antimafia di Palermo, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla tratta ed al traffico di esseri umani, sequestro di persona a scopo di estorsione, violenza sessuale, omicidio. I tre erano sbarcati a Lampedusa il 16 aprile.