Messina, fatture false e bancarotta fraudolenta Arrestati quattro imprenditori e un commercialista

Sono accusati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata all’emissione ed all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e bancarotta fraudolenta i cinque arrestati oggi dalla guardia di finanza. Questi i reati al centro dell’indagine Zero Tasse, condotta coordinata dalla procura di Messina che ha portato all’arresto di un commercialista e quattro imprenditori messinesi e al sequestro di 23 milioni di euro su conti correnti e disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati ed alle società coinvolte nella frode. Denunciate complessivamente nove persone. 


L’indagine, nata da un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta di vendita di prodotti informatici, ha fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata alle frodi fiscali, che sarebbe stata capeggiata da due fratelli imprenditori e un professionista, tutti destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere. Si tratta dei fratelli Angelo e Antonio Di Dio, 39 e 36 anni e del commercialista Francesco Paolo Fiocco, 61 anni. 

Altri due imprenditori, Giovanni Vinci, 43 anni e Giovanni Di Blasi, 45 anni, si trovano ai domiciliari. Questi ultimi avrebbero ricoperto formalmente la carica di rappresentanti legali di alcune società di comodo, che però secondo i finanzieri sarebbero state di fatto amministrate dai fratelli Di Dio e utilizzate per emettere fatture false a favore di altre società riconducibili all’organizzazione criminale. La frode sarebbe stata messa a segno tramite un vasto giro di fatture false fra diverse società che facevano capo agli indagati, attivi nel settore del commercio dei prodotti elettronici come telecamere, macchine fotografiche, cellulari, computer, navigatori satellitari, destinati alla grande distribuzione o al commercio al dettaglio via web. 

Gli indagati si sarebbero avvalsi di ditte individuali e società cartiere, dislocate nelle province di Messina, Pesaro, Roma, Taranto e Treviso, e anche all’estero: a Malta, in Romania e Slovenia. Gran parte delle quali gestite direttamente nel capoluogo peloritano. La frode avrebbe garantito un elevato profitto, rappresentato dall’Iva non versata all’erario, sia ai promotori della frode che agli amministratori delle cartiere. Nel corso degli accertamenti è emerso anche che gli arrestati, una volta venuti a conoscenza delle indagini, avrebbero provveduto ad occultare e distrarre beni di alcune società coinvolte nella frode, successivamente dichiarate fallite dal Tribunale di Messina, incorrendo anche nel reato di bancarotta fraudolenta. Il provvedimento è stato siglato dal gip Maria Vermiglio


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