«Un curriculum criminale che affonda le radici negli anni 90». A sostenerlo è il sostituta procuratrice della Dda Maria Pellegrino, che ha coordinato l’inchiesta sfociata oggi nel sequestro patrimoniale di cinque milioni di euro a carico di Giuseppe Pellegrino, noto pregiudicato legato prima al clan Sparacio e, successivamente, a quello degli Spartà, operante nella zona sud della città di Messina.
È proprio qui che comincia l’ascesa criminale di Pellegrino che da semplice allevatore diventa imprenditore edile, fino ad affermarsi nel settore funebre grazie anche all’appoggio della famiglia mafiosa dei D’Emanuele di Catania. L’affair del caro estinto diventa la sua principale attiva nonché quella più remunerativa. Tra i beni sequestrati oggi ci sono quattro aziende attive nei settori delle onoranze funebri, dell’edilizia e del commercio di prodotti alimentari. Si tratta della Edil Valley di Manuel Pellegrino, della Co.F Cofani funebri dei fratelli Stracuzzi, la ditta individuale De Luca Francesca e La Bottega della Frutta. Sigilli anche a un immobile, mentre diversi sono i rapporti finanziari bloccati.
Giuseppe Pellegrino appartiene a una famiglia che, a inizio anni Novanta, divenne antagonista a quella dei Vitale dando vita a una guerra di mafia. Che giunse al proprio culmine con l’omicidio, scrive il Tribunale, «a seguito dell’omicidio di Giovanni Pellegrino (fratello di Giuseppe, ndr) per mano di Nicola Vitale». La guerra venne fermata dall’operazione Faida nell’ambito della quale Pellegrino fu arrestato e poi condannato a 30 anni, pena che sta scontando in carcere.
Sarebbe proprio la sua detenzione ad avergli permesso «di entrare in contatto con esponenti del clan D’Emanuele di Catania e di accreditarsi con loro fino a ottenere il loro appoggio per affermare il monopolio nel settore delle onoranze funebri nel messinese», prosegue Panvino. Un settore così remunerativo da indurre Pellegrino a introdurre nel business anche il figlio Manuel, titolare di una delle ditte sequestrate oggi. Ingresso che secondo gli investigatori della Dia, che hanno catturato le disposizioni impartite da Pellegrino ai familiari «nel corso dei colloqui carcerari avvenuti nel 2012», sarebbe stato agevolato dall’appartenenza all’organizzazione criminale e dalle alleanze con esponenti collegati al clan Santapaola.
Quello di oggi non è il primo sequestro per la famiglia Pellegrino. Nel 2009 era stato già colpito il patrimonio dei fratelli Nicola e Domenico, per un totale di 45 milioni di euro. Nell’ambito dell’inchiesta è emerso inoltre che, per i lavori in campo edile, le imprese di Pellegrino utilizzavano forniture di calcestruzzo depotenziato.
Per l’esponente del clan Spartà, il 12 febbraio scorso era arrivata un’altra ordinanza di custodia cautelare in carcere. Dopo che i collaboratori di giustizia Daniele Santovito, Salvatore Centorrino, Gaetano Barbera e Francesco D’Agostino, hanno individuato in Pellegrino indicato il mandante – insieme ad Angelo Bonasera – dell’omicidio di Francesco La Boccetta commesso a Messina il 13 marzo 2005. Delitto che, come accertato dalle indagini, fu deciso dopo una serie di riunioni avvenute nel carcere di Gazzi: La Boccetta doveva essere punito per aver tradito il proprio gruppo, avvicinandosi a quello di Santo Ferrante, e per aver creato dissidi all’interno del clan appropriandosi di una grossa partita di cocaina.
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