All'ennesimo incontro a Roma, avvenuto ieri nel pomeriggio, per discutere della crisi dell'azienda e del riassorbimento degli ex dipendenti da parte dei due acquirenti in ballo nessuna traccia di esponenti del governo nazionale e regionale
Mercatone Uno, sempre meno le speranze per Carini «Nessuna via d’uscita sarebbe sconfitta dello Stato»
Ad aleggiare, senza dare alcuna tregua, è lo spettro del «licenziamento…ma la speranza è l’ultima a morire». Ci prova in tutti i modi a non perdersi d’animo Giovì Monteleone, il sindaco di Carini volato ieri a Roma al ministero per lo Sviluppo economico per affrontare, ancora una volta, la crisi dei punti vendita della catena Mercatone Uno e la possibilità sempre più vicina e concreta, per i 48 dipendenti di Carini, di essere tagliati fuori dal mondo del lavoro. Nessun riassorbimento infatti per loro da parte dei due marchi che hanno concluso di recente gli accordi per inglobare quello che resta della storica azienda di arredamento. Dei 68 punti vendita totali del gruppo in amministrazione giudiziaria straordinaria, 55 (con 2.019 dipendenti) sono passati sotto la gestione della Shernon Holding srl e potranno mantenere il marchio. Mentre i restanti passano alle dipendenze dell’insegna abruzzese di moda low cost Globo, ma con il riassorbimento a regime part time solo di 28 dei 46 dipendenti totali di Palermo e la perdita del marchio.
Decisamente più buia la situazione per il punto vendita di Carini, chiuso da mesi: la struttura non è stata ritenuta nevralgica dall’acquirente. Un dato di fatto che lascia a casa 48 dipendenti per i quali non è previsto, al momento, alcun riassorbimento da parte delle aziende che hanno firmato nelle scorse settimane i due accordi per la gestione. Malgrado i frequenti incontri nella capitale, insomma, non sembrano esserci affatto prospettive rosee. All’appuntamento di ieri, oltre tutto, si contavano grandi assenze: «Mi sono rammaricato per l’assenza di alcuni interlocutori politici, non essendo presente alcun esponente del governo nazionale né regionale», lamenta infatti in sindaco Monteleone. Ci sono, invece, seduti di fianco a lui Adriana Cataldo di Uiltucs Sicilia e l’avvocato Saloni per l’amministrazione straordinaria dell’azienda, il dottore Castano per il Ministero, la dottoressa Viscusi dell’Anpal (assistenza aziende in crisi) e diverse sigle sindacali di categoria, rappresentanti delle Regioni.
Un confronto, quindi, che nasce monco in partenza. Ma che restituisce comunque alcune possibili soluzioni da adottare per fronteggiare la crisi. Due su tutti gli strumenti al centro del dibattito: l’accordo di ricollocazione applicabile ai lavoratori in cassa integrazione entro 30 settembre e il Feg, il Fondo comunitario esuberi grandi aziende industriali da attivare su richiesta della Regione (che deve cofinanziare il 40%) per avviare corsi di formazione. Mentre dal canto loro, i rappresentanti sindacali hanno insistito sulla necessità di offrire trattamenti omogenei e uguali per tutti i lavoratori presenti nel territorio nazionale. Più allarmante il quadro dipinto dall’avvocato Saloni, che parla senza troppi giri di parole dell’esubero di circa 700 lavoratori anche nel caso in cui gli attuali acquirenti garantissero la riassunzione di alcuni dipendenti dell’azienda.
«I due strumenti di cui si è discusso sarebbero solo un palliativo di cui uno di scarsa fattibilità e che comunque non risolverebbero il vero problema e cioè evitare per i lavoratori l’uscita dal mondo del lavoro – spiega -. Tanto il mio disappunto anche per il fatto che uno dei due acquirenti, Shernon Holding, non preveda nel suo piano di riassunzioni i lavoratori dei punti vendita sia di Carini che di Palermo. Ho sottolineato che, vista la situazione particolare del punto vendita la cui struttura risulta sequestrata alla mafia e in amministrazione straordinaria, il licenziamento dei 48 lavoratori di Carini rappresenterebbe una sconfitta dello Stato».
Dal canto suo, il sindaco ribadisce la disponibilità dell’amministrazione comunale a velocizzare le procedure per autorizzare un’eventuale riapertura del punto vendita qualora ci sia la volontà della proprietà per il riassorbimento dei lavoratori in cassa integrazione. E si dice intenzionato a non gettare la spugna. «Già ad agosto 2017 avevo proposto un tavolo di concertazione con le organizzazioni sindacali per discutere del reimpiego di lavoratori di aziende in crisi alle ditte che fanno richiesta di rilascio autorizzazioni per le medie e grandi strutture di vendita», conclude. Intanto, i destini di questi 48 ex dipendenti appaiono sempre in più in bilico, mentre per un prossimo confronto a Roma si dovrà attendere fino a settembre.