«Favorire i terroristi? Per me era interessato soltanto ai soldi». Due settimane dopo il fermo di 12 delle 17 persone coinvolte nell’inchiesta Scorpion Fish, condotta dalla guardia di finanza con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, non si sono dissolti i dubbi sulle attività di Jabranne Ben Cheick, il 28enne tunisino ritenuto la mente del traffico di migranti che per mesi avrebbe interessato la città di Marsala, divenuta luogo d’approdo per gommoni partiti dalla Tunisia.
Viaggi che i magistrati hanno definito di lusso – tremila euro il costo medio per una navigazione di circa tre ore e mezza – e che non escludono potessero avere avuto anche l’obiettivo di fare entrare in Europa soggetti pericolosi, vicini al jihadismo. Un’ipotesi a cui i magistrati fanno solo accenno nelle 149 pagine del decreto di fermo, ma che è bastata per attirare l’attenzione di opinione pubblica e media intorno alla vicenda. Con conseguenze, in alcuni casi, anche violente. Come per esempio nel caso di Simonetta Sodi, la 55enne compagna di Ben Cheick, che avrebbe fatto le veci di quest’ultimo nel momento in cui il tunisino è finito in carcere per una storia legata allo spaccio di droga. La donna, nei confronti della quale il gip ha rigettato la richiesta di custodia cautelare, in queste settimane è stata presa di mira sui social network, dove è accusata di favorire i terroristi.
A sostenere che i viaggi con il Paese del Nordafrica non avrebbero avuto interessi ideologici, ma soltanto quello di guadagnare in maniera illecita, è Simone Ballantini, l’uomo che tra settembre e ottobre dello scorso anno ha fatto da autista a Ben Cheick. Toscano, è lui che accompagna il tunisino in Sicilia. «Ho conosciuto Jabranne tramite Simonetta Sodi – racconta a MeridioNews -. Me lo presentò lei, dicendomi che gli serviva un autista perché bisognava fare delle cose. Sinceramente non pensavo si trattasse di cose così grosse, altrimenti non ci andavo». Le cose grosse a cui Ballantini fa riferimento sono gli sbarchi che avvenivano nei pressi delle saline di Marsala. «La prima volta non ho visto nulla, la seconda invece ho visto le persone arrivare – continua -. Mi sono incazzato molto e ho detto che non ci stavo a fare quelle cose».
Ballantini, tuttavia, ritiene poco verosimile parlare di legami con l’estremismo islamico. «Credo gli importasse solo il denaro – sottolinea -. Radicalizzato? Dai discorsi che si facevano non mi è mai sembrato». L’uomo parla poi del rapporto che il 27enne avrebbe avuto con il padre Kamel, descritto come il punto di riferimento in Tunisia. «Era molto legato a lui – ricorda -. È il padre che raccoglieva i soldi e le persone che dovevano partire. Lui comandava tutto».
La figura del padre – che i pm descrivono «allo stato ancora non compiutamente identificato» – potrebbe essere centrale anche per un altro aspetto. Uno di quelli che gli inquirenti hanno tirato in ballo per avvalorare la pista del possibile corridoio clandestino per i jihadisti. Tutto ruota attorno a una telefonata, di cui viene riportato un sunto, tra due tunisini: uno che si trova in Italia e l’altro in Tunisia. La conversazione riguarda le condizioni ideali per partire verso l’Europa e l’auspicio da parte di uno degli indagati che il connazionale insieme agli altri viaggiatori possano non essere rimandati indietro «a causa di terrorismo o qualsiasi altro motivo». In un passaggio, gli inquirenti ricostruiscono così il dialogo: «L’uomo chiede se lo sceicco con cui aveva parlato e ha detto che dovevo partire alle 8».
Ma chi è lo sceicco? A chiederselo sono gli stessi inquirenti, senza trovare però risposta. Il quesito, tuttavia, potrebbe non avere motivo di esistere ed essere frutto di una cattiva traduzione, in quanto il suono della parola che in Tunisia viene utilizzata per dire sceicco è pressoché lo stesso di quello che si emette pronunciando il cognome Cheick. Ma c’è di più, la stessa parola sceicco – figura sociale che in Tunisia non esiste – avrebbe altri significati.
A dirlo è Lorenzo Declich, esperto di mondo islamico contemporaneo e traduttore. «La parola “sheykh” significa “vecchio” o “saggio” e può essere usata per riferirsi a un anziano, a un nonno o a qualcuno che è più saggio di te – spiega -. Certo anche nei gruppi jihadisti esistono gli “sheykh”: Bin Laden veniva definito tale anche perché non aveva nessun titolo più importante da esibire visto che era un ingegnere, ma l’espressione ha diversi usi nella terminologia religiosa per indicare personaggi con conoscenze rilevanti: viene usata per esempio nel sufismo, quindi nell’Islam mistico che è acerrimo nemico del jihadismo, per indicare i capi delle confraternite. Quando noi evochiamo la figura dello sceicco – continua – pensiamo sempre ai petrolieri del Golfo, ma in realtà era questo, già in passato, un titolo onorifico per indicare i capi delle famiglie tribali. La radice etimologica è sempre la stessa, utilizzata in ambito tribale, religioso ma anche strettamente famigliare e quotidiano».
Al tema delle possibili storture nella fase di traduzione delle intercettazioni, fa riferimento anche Carmine D’Agostino, l’avvocato di Ben Cheick. «Si è parlato di terrorismo per una frase che si trova in un brogliaccio – commenta -. La frase reale ancora non ho avuto modo di leggerla. Le indagini sono ancora in corso, ma credo si sia fatto eccessivo clamore su questa storia, che qui a Firenze (dove il tunisino viveva, ndr) è diventato il caso del mese. Io ritengo che ci sarebbe dovuta essere più cautela. Al giorno d’oggi si rischia un’equiparazione tra le parole islamico, terrorista e clandestino». Per D’Agostino, i riferimenti ai possibili respingimenti dopo l’arrivo in Italia non sarebbero strettamente connessi alla consapevolezza di essere fermati per questioni di sicurezza. «I motivi possono essere tanti e non legati alla propria pericolosità – prosegue l’avvocato -. Ripeto, forse una frase pronunciata da una persona che vuole partire perché in cerca soltanto di una vita migliore meritava un approfondimento in più».
L’avvocato conclude rettificando anche il passaggio sul giuramento di cui si fa menzione nel decreto. A pronunciarlo è Sodi, poco prima di partire in aereo per la Sicilia, dove per conto del compagno acquisterà un gommone. Ben Cheick le dice di prendere i soldi dal fratello e di giurare su Mohamed di non tenerne una parte per sé. Invito a cui Sodi risponde dicendo: «Giuro su Mohamed che è la mia vita, io non ti tocco niente». Il riferimento, però, non sarebbe al profeta Maometto, ma a qualcosa di familiare e intimo. «Di cosa parlavano? – conclude D’Agostino -. Del figlio che volevano».
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