Magnifici candidati / Zaira Dato Toscano: “Ci vuole un governo autorevole, ma non autoritario”

Tra un caffè e un pugnetto di mandorle, Zaira Dato Toscano, della facoltà di Architettura con sede a Siracusa, ci spiega perchè ha deciso di proporre la sua candidatura all’ufficio di Rettore. Da donna, crede di poter apportare una visione diversa dell’organizzazione: “non il potere, ma la conduzione”, ci dirà. Vediamo di che si tratta.

Professoressa Dato Toscano, qualcuno sul nostro forum le ha chiesto come sia possibile parlare di uno scambio attivo tra università e territorio, a maggior ragione in un quartiere come Librino, quando abbiamo l’esempio del Monastero dei Benedettini che appare non molto riuscito. Cosa risponde?
Le attività delle facoltà del Monastero non sono state pensate per incidere sul territorio. Sono elitarie. E c’è il rischio di vivere la “coabitazione” coi ragazzi del quartiere quasi con fastidio. Il mio discorso a proposito di Librino è diverso. Il progetto elaborato dai miei studenti è quello di un campus universitario assolutamente aperto, in cui i campi sportivi, la biblioteca e tutto il resto siano a disposizione del quartiere. L’idea era quella di aprire al quartiere le attività didattiche che potessero interessare i ragazzi di Librino, per trasmettere un messaggio di ricerca, creatività, lavoro di gruppo. Ai Benedettini tutto questo non è stato fatto, in nome di un inappropriato spirito elitario”.

C’è un altro punto che ha lasciato confuso qualcuno. Venendo da una Facoltà di nuova istituzione che – come altre – ha necessità di consolidarsi, è naturale che lei sia portatrice di una politica di riequilibrio tra le diverse facoltà, basata su parametri condivisi e che tenga conto anche del rapporto tra numero di docenti e studenti. Cosa intende, quindi, nel suo programma con “I risparmi stipendiali ricavati da trasferimenti,pensionamenti e decessi (…) devono rimanere nella dotazione delle facoltà dalle quali provengono, piuttosto che essere risucchiati nella cassa centrale dalla quale non è facile poi assicurare che siano ridistribuiti con equità , imparzialità e trasparenza”?
Ribadisco fermamente – piaccia o no – che, come linea generale, alle facoltà debba essere conservato il patrimonio di punti-organico consolidato. I risparmi stipendiali ,derivanti da trasferimenti, pensionamenti e decessi , devono assicurare la copertura dei settori disciplinari esistenti, anche a garanzia dei requisiti minimi e nella proporzione reciproca di legge; devono inoltre consentire le progressioni di carriera e l’emersione dal precariato delle nuove leve in attesa. Un’opportuna politica dei reclutamenti che favorisca anche gli acquisti esterni può contribuire al riequilibrio e per altro verso, ciclicamente negli anni, le varie leggi in vigore succedutesi hanno determinato la distribuzione di fondi, ancorché esigui ,che l’Università deve saper utilizzare in modo equo. A ciò aggiungasi che un’opportuna razionalizzazione del programma generale di spesa può aiutare a rastrellare fondi da utilizzare in parte anche per operazioni di riequilibrio. Certamente nella storia recente e meno recente dell’Ateneo ci sono state elargizioni squilibrate che, in momenti di particolare crisi, come questa che attraversiamo, richiederanno fasi di concertazione condivisa perché si possa far fronte a situazioni di particolare carenza. Non credo però che si possa eludere una tale fase, facendo ricorso ad un “tesoretto” misterioso per effettuare  elargizioni paternalistiche, poco comprensibili, dal vago sapore clientelare.  Il numero di studenti è certamente uno dei criteri su cui si deve basare la valutazione del fabbisogno , sapendo che per le facoltà a numero chiuso sarà tenuto in considerazione uno specifico coefficiente “studente equivalente” che deve essere ricalibrato. Nel caso della facoltà di Architettura, della quale faccio parte, piccola perché relativamente giovane e a numero chiuso , il riassorbimento dei risparmi stipendiali e l’annullamento delle assegnazioni nominali da riequilibrio hanno sottratto un po’ più di 5 punti organico di cui l’attuale Rettore sa bene . Con una assegnazione ex novo, pertanto non compensativa, ce ne ha elargiti all’incirca 1,5″.

All’inizio del suo programma, lei afferma che vi è dissenso tra i docenti nei confronti dell’attuale gestione dell’Ateneo catanese. La parola “dissenso” può essere interpretata come un termine forte, se impiegata al posto della parola opposizione. Potrebbe spiegarci meglio cosa intende?
L’amministrazione in carica si era proposta in maniera alternativa rispetto alla precedente per apertura, trasparenza, comunicazione e partecipazione. In realtà ciò non è avvenuto, se non in un primo momento ed in termini puramente esteriori. In breve tempo si è visto che era solo una palizzata per tenere segreto tutto ciò che c’era da mantenere tale: l’amministrazione. Parlo dei criteri, delle attribuzioni di incarichi, della riorganizzazione degli uffici, degli spostamenti di personale, della disponibilità e dell’elargizione di fondi. Non era mai successo, ad esempio, che i sorteggi per la composizione delle commissioni che devono giudicare per le gare d’appalto degli edifici per l’università avvenissero senza avvertire gli interessati: mi hanno detto che questa procedura è basata su una circolare rettorale“.

E’ per questo che lei, nel suo programma, parla di una funzione del rettore che dovrebbe essere “di autorevolezza e non di autoritarismo“?
L’operato del Rettore uscente è stato sicuramente autoritario. Ho elementi per poter affermare che anche le commissioni del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione hanno visto modificate in itinere le loro decisioni per intervento del Rettore, prima che si formalizzassero in delibera”.

Buona parte del suo programma è dedicato alla critica del Dl 133. Quali le ricadute sul nostro Ateneo?
La critica parte dal fatto che una legge per l’università sia inglobata ad una finanziaria, e quindi non è sottoponibile a referendum. Chi amministrerà dovrà fare i conti col bilancio e sono certa che bisognerà razionalizzare le risorse. Ma escludendo metodi clientelari, perchè così facendo se ne sacrifica una gran fetta che dovrebbe essere utilizzata per i dottorati e gli assegni, che sono forme di iniziazione alla ricerca e di reclutamento dei giovani”.

La sua esperienza di docente di Architettura obbliga a porle una domanda sulle sedi decentrate.
In ognuno dei luoghi in cui si è insediata, l’Università ha svolto la funzione di volano per la ripresa economica e il progresso della zona. Si è visto in maniera consistente ad Ortigia. L’importante è che si tratti di scelte connesse alle specificità del territorio, non clientelari, sottoposte a un controllo di efficienza e di produttività adeguato ed efficace, e che le convenzioni siano formulate in maniera conveniente per l’università. Alcune convenzioni vecchie vanno assolutamente riviste, alla luce dell’esperienza”.

Come giudica la distribuzione per fasce d’età del corpo docente dell’Ateneo. C’è bisogno di uno “svecchiamento”?
Non credo che la presenza del “vecchio” sia un danno. Chi è anziano ha acquisito il metodo d’insegnamento e questa è una risorsa importantissima. Penso che ci sia un tetto d’età fissato di volta in volta da oscillazioni che dipendono soprattutto dai problemi economici del governo. Chi vuole andare in pensione deve averne il diritto, e gli si può dare anche un incentivo, ma chi è arrivato all’età della pensione e ha ancora quelle capacità di comunicazione e orientamento della ricerca deve essere utilizzato, magari con forme di rapporto lavorativo a scadenza. Se tutto rimane entro il budget di cui si dispone e se questo budget si risolve col turnover, è chiaro che non ne usciamo. Figuriamoci poi se quel poco che rimane non lo usiamo per incrementare la docenza, spaventandoci di raggiungere il tetto massimo. Toccare il limite potrebbe anche essere una sfida all’orientamento del governo“.

Lei ha proposto la creazione del “Garante degli studenti”. Ma non esiste già, con questo scopo, il Garante d’Ateneo? Che differenza dovrebbe esserci tra queste due figure?
Il Garante degli studenti deve essere un ufficio con competenze specifiche e commisurate alla categoria. Nella mia visione deve essere anche una cerniera tra gli studenti che si accingono ad entrare all’università, e tra quelli che ne escono e si preparano al mondo del lavoro. Dovrebbe trattarsi di un ufficio con personale amministrativo e un docente delegato che raccolga le istanze degli studenti, si interfacci con le scuole superiori per l’orientamento, si occupi del problema degli alloggi anche cercando di coinvolgere gli enti sociali. Penso, ad esempio, agli esperimenti di convenzioni per alloggi di studenti a costo zero con anziani, con forme di reciproca assistenza”.

A proposito di convenzioni, tra i provvedimenti da lei citati, da potenziare o attivare ex novo, c’è anche la questione dei parcheggi. Da anni a Catania, gli studenti chiedono una convenzione con l’azienda Sostare.
L’idea che nella società occidentale si possa utilizzare il mezzo privato per arrivare a destinazione, e che questo sia un diritto di massa, è impensabile. Non esiste in nessuna città civile, dal Centro Italia al Nord Europa. Per le zone a densità intensiva si possono rintracciare un certo numero di posti e fare in modo che costino il meno possibile con delle convenzioni, chiedendo anche a dei privati finanziamenti integrativi di sponsorizzazione. Per la periferia invece si può predisporre un lotto di terreno a parcheggio verde in cui quindi gli spazi sono scanditi da alberi, o si potrebbe scavare (dove non c’è il rischio di incorrere in reperti archeologici di valore consistente), oppure ancora progettare parcheggi a più piani che, inseriti nei luoghi adatti, possono anche qualificare un’area, se pensati come belle opere di archiettura. Ci dobbiamo però impegnare, anche come università, nella promozione di una mentalità civile ed evoluta, che sostituisca al mezzo privato il desiderio di un mezzo pubblico efficiente e protagonista“.

Come pensa si possa garantire il diritto allo studio?
Sono convinta che l’università si debba impegnare per rendere concreto il diritto allo studio, in tutti i modi possibili: come gli accessi all’approvvigionamento, cioè il contributo per la spesa, ad esempio. C’è anche l’incentivo alle istituzioni sia pubbliche che private erogatrici di cultura e di divertimento. Vorrei delle biblioteche aperte tutto il giorno, almeno fino alle undici e mezzo di sera, come a Venezia. Ma soprattutto credo sia indispensabile un impegno sull’alloggio e sulle borse di studio, con un grande controllo sul reddito: ci sono molti casi di redditi ufficiali degni di contributi, quando invece l’effettiva condizione economica dello studente è assolutamente indegna“.

Negli atenei italiani esistono delle zone dedite alla multimedialità e alla cultura autogestite dagli studenti. A Catania sono molto poche le iniziative di questo genere. Cosa pensa che si possa fare?
Ho sempre visto con simpatia tutte le iniziative creative dei giovani, compresi i centri sociali. Sono forme da incentivare, e certamente anche da regolamentare. Ma è lo studente stesso che così impara ad essere un adulto responsabile e che deve avere una parte di responsabilità in termini di gestione amministrativa e di responsabilità civile e penale, come la deve avere l’istituzione che ne partecipa. E’ ovvio che alla fine è sempre un problema economico. E allora adoperiamoci tutti per fare proposte che abbiano in sé delle possibilità di cofinanziamento o di autofinanziamento: senza timore di rendere con ciò meno aulica l’istituzione“.

C’è obiettivamente un divario, se non una contrapposizione, tra polo umanistico e scientifico, dovuto sia alla distribuzione dei fondi che alle strutture. Se da un lato la ricerca scientifica ha costi fissi che spesso necessitano di maggiori finanziamento, dall’altro le facoltà umanistiche hanno un numero elevatissimo di iscritti e soffrono di gravi carenze delle strutture didattiche. Come affronterebbe il problema?
Finchè l’autonomia viene intesa come rimanere coi soldi che abbiamo avuto all’inizio dal Ministero, e tirare avanti con la progressiva diminuizione di quel fondo, il dualismo al quale faceva cenno non si potrà che risolvere in contesa. Da un lato le facoltà scientifiche rivendicano l’esigenza di apparecchiature molto costose, ed è ovvio. Dall’altro però ci sono le facoltà umanistiche e a caratterizzazione teorica che hanno bisogno di pubblicare e di avere scambi: viaggiare e ospitare per realizzare contatti con altre realtà. Ci vuole necessariamente un tavolo di concertazione – e non mera contrattazione – che miri consapevolmente agli obiettivi d’interesse comune. O dovremmo arrivare al paradosso di una tecnologia senza pensiero?”.

Pensa che il fatto di essere donna può in qualche modo penalizzarla nel mondo accademico?
Per l’accesso alla carica di rettore credo di sì. Perchè gli uomini – anche quelli apparentemente più progrediti e “femministi” – nel profondo, e spesso inconsapevolmente, non amano farsi dirigere da una donna. Forse la colpa è anche di noi donne però, perchè quando invochiamo la parità ci proponiamo col modello degli uomini: io dico che incrementiamo il nostro tasso di progesterone. Invece, come forma evoluta di femminismo, dovremmo offrire il contributo di una visione complementare della vita e dell’organizzazione. Non il potere, ma la conduzione quindi. Inoltre i maschi sono figli nostri. E la responsabilità di noi madri nel formare una mentalità maschilista è grandissima“.

Volendo concludere con una domanda che abbiamo posto a tutti i candidati: lo studente perfetto per lei è…
Curioso, per prima cosa. Poi deve avere la voglia di sfidare la vita. E, infine, entusiasta. Non secchione, eh! Un conformista è noioso anche per noi. Perchè non può aggiungere nulla, nemmeno alla società”.

Guarda il programma della professoressa Dato

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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