«Stabile asservimento dei dirigenti della Lidl Italia preposti all’assegnazione degli appalti per fare ottenere le commesse alle imprese controllate dagli associati». Sono le parole utilizzate dal giudice per le indagini preliminari Giulio Fanales nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato al blitz di oggi denominato Security. L’inchiesta, affidata dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano alla guardia di finanza di Varese e alla squadra mobile, ha fatto emergere i presunti affari della cosca catanese dei Laudani al Nord Italia che avrebbe messo le mani su una montagna di denaro grazie alla complicità di due gruppi imprenditoriali, di alcuni funzionari pubblici e di un commercialista. Nel mirino della famiglia di San Giovanni La Punta, nota come mussi i ficurinnia e storico braccio armato alleato a Cosa nostra, erano finite alcune società che si occupano della sicurezza nei corridoi del tribunale meneghino e gli appalti delle Lidl, colosso tedesco della grandi distribuzione alimentare con centinaia di punti vendita in tutta Italia.
L’inchiesta
L’obiettivo finale del clan etneo sarebbe stato quello di ottenere grosse somme di denaro da utilizzare prevalentemente in Sicilia come aiuti economici per le famiglie degli affiliati detenuti. Il passaggio dei contanti, stando alle indagini, avveniva tramite un imprenditore che si recava nell’Isola, e precisamente nel territorio del Comune di Acireale, per consegnarlo «nelle mani del cassiere della cosca Enrico Borzì». Quest’ultimo avrebbe preso il posto di Orazio Salvatore Di Mauro – accusato di essere affiliato al clan dei Laudani -, che sarebbe stato il capo dell’organizzazione fino al momento del suo arresto, a febbraio 2016, nell’ambito dell’operazione I vicerè della procura di Catania. Borzì, si legge negli atti, «tiene un apposito registro, in cui vengono indicati i riferimenti dei versamenti in ingresso (nominativi, date e importi relativi alle somme introitate) e i riferimenti dei pagamenti in uscita (nominativi, date e importi relativi alle somme corrisposte)». Al familiare del detenuto, «beneficiario del versamento, il cassiere richiede la sottoscrizione di una ricevuta». Insieme a quest’ultimo sono 14 le persone indagate dal pool antimafia di Milano guidato dalla procuratrice aggiunta Ilda Boccassini e dal sostituto procuratore Paolo Storari. Il clan avrebbe costruito un vero e proprio sistema di corruzione utile come «serbatoio finanziario del clan», si legge nell’ordinanza.
Gli imprenditori e il sistema degli appalti
Sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori sono finiti due consorzi imprenditoriali attivi nel Nord Italia che avrebbero favorito la cosca dei Laudani. Gestori di aziende e cooperative nel settore della logistica, facchinaggio e della vigilanza privata. Il primo, che è la Sigilog di Cinisello Balsamo, era gestito dal pregiudicato Luigi Alecci, dall’imprenditore catanese Giacomo Politi e da quello calabrese Emanuele Micelotta. La seconda cordata, quella della Securpolice Group sempre in provincia di Milano, faceva invece riferimento ai fratelli etnei trapiantati in Brianza Nicola e Alessandro Fazio. Cinque nomi e qualche vecchia conoscenza delle forze dell’ordine come quella di Alecci. Già condannato in via definitiva per omicidio, estorsione e traffico di droga. Un intreccio di nomi e società che avrebbe avuto come motivo conduttore l’ottenimento di appalti.
I fratelli Fazio, per esempio, oltre a lavorare con Lidl si occupavano della gestione della sicurezza all’interno del palazzo di giustizia di Milano. Doppi interessi che hanno indotto i giudici del tribunale misure di prevenzione a disporre l’amministrazione giudiziaria sia per le società di vigilanza privata che per quattro centri direzionali, su dieci in tutta Italia, della Lidl. Per sei mesi saranno commissariati gli uffici Lidl di Volpiano in provincia di Torino, Biandreate in provincia di Novara, Somaglia in provincia di Lodi e quello in provincia di Catania di Misterbianco. Per un totale di 218 filiali e 600 dipendenti.
Il fondo occulto e la corruzione
Il sistema ideato dal gruppo ruotava attorno alla Sigilog e a una serie di cooperative che facevano parte del consorzio. Le piccole cooperative che orbitavano attorno a Sigilog, dopo poco tempo dalla loro nascita, si indebitavano pesantemente con l’Agenzia delle entrate e non pagavano l’erario. A questo punto venivano intestate a teste di legno e messe in liquidazione volontaria. Per costituire il fondo nero, però, sarebbe stata necessaria la collaborazione di alcuni professionisti, disposti a emettere fatture per prestazioni mai eseguite. Il pagamento del lavoro fittizio, secondo l’inchiesta, sarebbe avvenuto tramite bonifici bancari, subito scambiati in denaro contante. Soldi che sarebbero stati consegnati brevi manu ai tre proprietari di Sigilog: Alecci, Politi e Micelotta. Per la procura di Milano, a rendere possibile questo presunto giro di denaro sarebbe stato il commercialista Vincenzo Parlagreco, che si sarebbe occupato sia di reclutare i professionisti disposti a emettere fatture false sia di fare da consulente sui metodi migliori per frodare il fisco. Il tutto, secondo gli inquirenti, con la consapevolezza che «parte del denaro frutto delle transazioni sia destinato alla famiglia mafiosa dei Laudani».
Gli scopi del fondo nero così costituito sarebbero stati molteplici: da una parte il finanziamento delle famiglie degli affiliati in carcere, dall’altra il pagamento, in nero, degli stipendi dei dipendenti delle cooperative e del lavoro dei «faccendieri»: i prestanome e la manovalanza. In mezzo, però, c’era il sistema della corruzione per gli appalti Lidl. I soldi sarebbero stati usati per pagare i dirigenti in Lombardia, Piemonte e Sicilia della società tedesca. In particolare Simone Suriano, finito oggi agli arresti domiciliari con l’accusa di essere un associato al gruppo criminale milanese. Le mazzette ai responsabili di Lidl in Italia sarebbero servite per garantire l’aggiudicazione a società nell’orbita dei Laudani degli appalti per la ristrutturazione e il rifacimento degli ipermercati dislocati sul territorio nazionale. «È stato troppo facile, facilissimo, trovare pubblici funzionari e persone disposte a farsi corrompere», dice la magistrata Ilda Boccassini in conferenza stampa, a Milano. Facile come, aggiunge, «pescare trote in un laghetto».
La replica
«Lidl Italia si dichiara completamente estranea a quanto diffuso in data odierna dai principali media in relazione all’operazione gestita dalla direzione distrettuale antimafia». Sono le prime parole di una nota stringata diffusa dall’ufficio stampa del colosso della grande distribuzione. «L’azienda, che è venuta a conoscenza della vicenda in data odierna da parte degli organi inquirenti – continua il comunicato – si è resa da subito a completa disposizione delle autorità competenti, al fine di agevolare le indagini e fare chiarezza quanto prima sull’accaduto. Lidl Italia precisa, inoltre, che l’azienda non risulta indagata e non vi sono sequestri in atto».
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