Mafia, sequestro del Ros a Santo Massimino L’imprenditore che si autodefinì «un benefattore»

Finiscono sotto
sequestro, dopo la pronuncia della cassazione, sei aziende dell’imprenditore acese Santo Massimino. Le società attive nel campo della produzione di energie rinnovabili hanno un valore stimato dagli uomini dei carabinieri del Ros  e del comando provinciale di Catania che ammonta a circa 26 milioni di euro. Massimino è stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa a 12 anni. L’uomo, secondo quanto si legge nella sentenza di primo grado dell’inchiesta Iblis, avrebbe messo a disposizione «dei rappresentanti del clan Santapaola-Ercolano e sopratutto di Vincenzo Aiiello, la sua attività imprenditoriale». Una sorta di collante, secondo i magistrati della procura di Catania, a cavallo tra la mafia e il mondo imprenditoriale.

di Massimiliano Favazza

Originario di
Acireale, iscritto per sua stessa ammissione alla massoneria nella loggia Cisalpina ma «per pochi minuti», Massimino è stato anche l’ex presidente della società di calcio cittadina e con le sue aziende si è occupato pure del noleggio di automezzi. Tra i suoi lavori, i centri commerciali Sicilia Outlet di Agira e Katanè a Gravina di Catania. Con la sua società principale, la Nika Group Italia srl si è occupato anche del parco eolico in provincia di Enna tra i Comuni di Ramacca, Castel di Judica e Raddusa. Un progetto da svariati milioni di euro subappaltato alla spagnola Ecotecnica. Quest’ultima aveva affidato parte dei lavori al re del vento alcamese Vito Nicastri, considerato dagli inquirenti uno dei prestanome del latitante Matteo Messina Denaro, e allo stesso Massimino che forniva le gru per sollevare gli aerogeneratori nelle torri eoliche.  

Massimino, sarebbe stato inoltre 
«gestito personalmente» dal rappresentante provinciale catanese di Cosa nostra Vincenzo AielloIl super boss, che l’impresario ha sempre detto di conoscere «soltanto come geometra perbene» tanto da prestargli 15 mila euro dopo il terzo incontro per far fronte a dei problemi familiari. Non un prestito ma un’estorsione, secondo i magistrati. «Sono un operatore di pace riconosciuto dall’Onu» la risposta di Massimino. Aiello era in realtà padrone degli appalti e della lista del pizzo nella Sicilia orientale oggi al 41 bis recluso nel penitenziario di Parma. Nel settembre 2007 le telecamere del reparto operativo speciale dei carabinieri documentano diversi incontri proprio tra Aiello e Massimino nell’area antistante un bar in località Sferro, gestito da Antonino Bergamocondannato in appello a sei anni nel processo in abbreviato scaturito dall’operazione Iblis.  Proprio in uno di questi incontri le telecamere immortalano un bacio tra il capo di Cosa nostra e l’imprenditore. 

Il nome di Massimino è comparso recentemente anche nell’
elenco degli indagati dell’inchiesta Caronte, che ha tolto il velo sul presunto ruolo di capo mafia dell’imprenditore etneo del settore dei trasporti Vincenzo Ercolano, figlio del defunto padrino Pippo e nipote di Benedetto Santapaola. In questo caso all’imprenditore acese viene contestata una tentata estorsione da 15mila euro e un pizzo consumato da cinquemila per la cessione del logo dell’Acireale Calcio 1946, società di cui Massimino è stato presidente.


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