Mafia, sequestro da 23 milioni a Ercolano «Condizionava il mercato con il suo cognome»

Sei imprese e i relativi beni, per un totale di 23 milioni di euro. È quanto i carabinieri di Catania hanno sequestrato a Vincenzo Ercolano, figlio del boss di Cosa nostra Giuseppe, morto nel 2012, fratello dell’ergastolano Aldo e cugino di Vincenzo SantapaolaEnzo, l’anima imprenditoriale della famiglia, è stato arrestato lo scorso novembre nell’ambito dell’operazione Caronte. La procura di Catania gli contesta non solo di aver fatto parte della famiglia mafiosa catanese Santapaola-Ercolano ma anche di aver utilizzato il suo potere per condizionare il mercato del trasporto su gomma, nel quale operava con la sua ditta più nota, la Geotrans, poi confiscata a marzo 2014. Proprio per aggirare i sigilli imposti per via del padre, Ercolano avrebbe costituito una nuova società, la Rcl, intestata a dei prestanome ma con gli stessi clienti della Geotrans.

Un settore «di speciale interesse per Cosa Nostra che – spiegano i carabinieri etnei – si è anche resa protagonista di una serie di alleanze a livello regionale che hanno visto protagonisti esponenti della famiglia mafiosa di Catania e soggetti legati a Cosa nostra palermitana e agrigentina». Le pressioni mafiose nel settore, secondo gli investigatori, si sarebbero svolte «mediante il procacciamento dei clienti grazie alla spendita, implicita o esplicita, del nome dell’organizzazione mafiosa e nella costituzione di ampi consorzi funzionali al controllo del mercato ed all’accentramento delle attività dirette alla percezione dei cosiddetti ecobonus».

In questo contesto si muoveva anche Enzo Ercolano – insieme al rappresentante provinciale di Cosa nostra etnea Vincenzo Aiello – con la ditta Servizi Autostrade del Mare, in cui risulterebbero degli interessi occulti di entrambi. La ditta, spiegano i militari, «aveva stipulato con la società Amadeus spa riconducibile a Amedeo Matacena un contratto di affitto di tre navi, per un costo complessivo pari a 120mila euro al mese, da utilizzare come vettori per i collegamenti tra la Sicilia e la Calabria». Il traghettamento funzionò per 90 giorni, tra il 2005 e il 2006. Ma poi fu interrotto.

Secondo gli atti dell’indagine Caronte, inoltre, Ercolano non si sarebbe interessato solo di affari, ma anche di politica. Con il suo prestanome, secondo i collaboratori di giustizia, Giuseppe Scuto impegnato nel Partito nazionale degli autotrasportatori e con l’interessamento dello stesso Ercolano «per convincere un suo conoscente a votare per Lombardo e l’Mpa». Con una fine analisi politica: «Avendo il quattro per cento qualche siciliano può parlare come parlano quelli della Lega, non sempre a ubbidire ai vari Andreotti».

Dalle pagine dell’inchiesta emerge poi un ritratto – spesso colorito – di Ercolano. Come quando si trova in mezzo a una querelle per la cessione del marchio dell’Acireale calcio. Da un lato c’è l’imprenditore Santo Massimino, condannato in primo grado nel processo Iblis per vicinanza alla mafia, ed ex patron della squadra acese. Dall’altro Salvatore Palella, ventenne in un primo momento intenzionato a rilevare la società ma non pronto a pagare le richieste di Massimino. «Cu si cucca che picciriddi si susi che pantaloni cacati», ripete spesso Enzo Ercolano, costretto a fare da mediatore.


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I sigilli sono stati apposti dai Carabinieri etnei a sei imprese e ai relativi beni, direttamente o indirettamente riconducibili al figlio del boss di Cosa nostra Giuseppe, morto nel 2012, e fratello dell'ergastolano Aldo. Considerato tra gli imprenditori più noti del settore dei trasporti, è stato arrestato lo scorso novembre durante l'operazione Caronte

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