La direzione distrettuale antimafia etnea è la seconda, dopo quella di Napoli, per numero di indagini per l'articolo 416 bis. Vale a dire l'associazione a delinquere di stampo mafioso. Questo e altri dati sono stati messi in fila dalla Dna, che ha tracciato il quadro delle attività della procura etnea
Mafia, nomi e numeri delle indagini catanesi Catania seconda in Italia per processi ai clan
Duecentoventisette procedimenti, 2287 indagati, 70 casi in cui si va avanti contro ignoti. Sono i numeri snocciolati dalla Direzione nazionale antimafia che, nella relazione presentata a febbraio 2016, fa il punto sulle attività della procura di Catania in un periodo compreso tra l’1 luglio 2014 e il 30 giugno 2015. Dati messi in fila, uno dopo l’altro, che riguardano non solo l’associazione mafiosa. Ma anche i cosiddetti «reati spia», dietro ai quali spesso si nasconde l’ombra della mafia. Sono i due traffici illeciti più redditizi: quello della droga e quello dei rifiuti. Quest’ultimo legato alla mafia solo quando non è, invece, appannaggio di «attività imprenditoriali su larga scala», che infrangono la legge solo per via del «notevole risparmio di costi di gestione».
La direzione distrettuale antimafia di Catania è la seconda, dopo quella di Napoli, per numero di indagini per l’articolo 416 bis. Vale a dire l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Nel periodo preso in considerazione, erano 79 i procedimenti aperti per mafia resi noti dai magistrati. Quasi un centinaio in meno che nel Napoletano, ma nove in più che a Palermo e 14 in più che a Reggio Calabria, che occupano rispettivamente il terzo e il quarto posto nella classifica nazionale. Diverso è il dato in riferimento al numero degli indagati: nel capoluogo etneo sono 417, contro i 424 della città principale della Sicilia e i 519 di quella calabra. I procedimenti aperti nel Catanese, dunque, coinvolgono meno persone che nel Palermitano e nel Reggino.
«Lungi da sterili classificazioni – scrive la Dna – si radica il forte convincimento che la Dda catanese si trova ad affrontare un fenomeno criminale non trascurabile». E probabilmente meritevole di maggiore attenzione da parte delle istituzioni. A supportare questa tesi, sostenuta dalla direzione nazionale, i numeri del mercato della droga: 46 procedimenti e 402 indagati che piazzano Catania ancora una volta sul podio delle città più attive, subito dopo il capoluogo della Campania e Roma. Ma di gran lunga prima di Palermo, Messina e Caltanissetta. «Il traffico di sostanze stupefacenti (marijuana, eroina e cocaina) – affermano i magistrati – costituisce ancora la principale fonte di illecito arricchimento dei clan». Soprattutto dei Cappello, dei Cursoti milanesi e dei Santapaola. I meglio radicati sul territorio etneo, oltre che i più noti. Secondo i pentiti, gli incassi dello spaccio arrivano anche a 20mila euro al giorno.
Ed è proprio ai nuovi collaboratori di giustizia che la relazione dedica un paragrafo a parte. Sono i pentiti che hanno scelto di aiutare la magistratura e le forze dell’ordine l’anno scorso. Alcuni dei quali hanno nomi di spicco: Fabrizio Nizza, Davide Seminara e Salvatore Cristaudo, che «hanno consentito di ricostruire il vasto organigramma del gruppo dei fratelli Nizza, monopolisti nella gestione delle piazze di spaccio all’interno del clan Santapaola». Ma anche Giuseppe Scollo, che dei Santapaola racconta gli omicidi, e Gaetano Mario Vinciguerra, le cui dichiarazioni «sono ancora in corso di valutazione». Tra i collaboranti ci sono anche Rosario Angrì (pentito a settembre 2014, dal 2004 nei Cursoti milanesi), Francesco Musumarra (pentito a novembre 2014, inserito nel clan Morabito-Rapisarda di Paternó, legato ai Laudani), Carmelo Scordino (pentito a maggio 2015, dei Cappello-Carrateddi) e Giuseppe Liotta (pentito a giugno 2015, nipote di Pietro Maccarrone, esponente storico del gruppo Scalisi, «ha militato in entrambi i sodalizi operanti ad Adrano, e cioè il clan Santangelo e quello Scalisi»).