Mafia nigeriana, i cults di Ballarò tra droga e rituali «Così è cominciata la guerra tra Eiye e Black Axe»

Ballarò terra di conquista. Leggendo tra le righe dell’operazione No fly zone, che ha portato in manette 13 persone accusate di fare parte di una congrega nigeriana che agisce come una vera e propria cosca, si capisce come tra le vie del mercato storico operasse un’unica mafia nigeriana, tutt’altro. La ricostruzione degli inquirenti racconta come si sia consumata in piccolo anche una sorta di guerra per la supremazia tra culti. Protagonisti della storia gli uomini affiliati a Black Axe, organizzazione criminale già nota per la propria violenza e per le minacce che spesso facevano leva su riti voodoo e la Eye Supreme Confraternity o più semplicemente Eiye, che in dialetto yuruba significa uccello, di cui avrebbero fatto parte le persone finite in carcere ieri.

Nati in Nigeria come vere e proprie confraternite universitarie negli anni Novanta, i cults non ci misero troppo tempo a virare sulla strada del crimine, assumendo proporzioni sempre maggiori nel loro Paese d’origine. È con le migrazioni che questi si diffusero anche in Europa e in Italia, dove alcuni di questi, Eiye su tutti, riescono a radicarsi lungo tutta la penisola. Sfruttano la prostituzione, si occupano della tratta dei loro connazionali sono specialisti nel commerciare stupefacenti tipo crack e alcune droghe derivate dagli scarti dell’eroina. Secondo le dichiarazioni di uno dei primi pentiti appartenenti a un cult, l’ex Black Axe Johnbull Austine, gli Eiye, particolarmente forti nel quartiere dell’Albergheria, avrebbero in realtà avuto come città iniziale di riferimento Catania. È lì che si trovava uno dei loro leader più alti in grado, l’Aria father. «Quando viene Aria father a Palermo loro diventa quasi 30 40 persone perché Aria father ogni posto dove va lui sempre qualche 10 15 persone va», diceva Austine ai magistrati. 

Il primo vero scontro tra le fazioni risalirebbe al 2011, in occasione di una festa data da un cittadino nigeriano per la nascita di suo figlio, la cosiddetta festa del nome, una sorta di battesimo. «In Palermo – racconta ancora Johnbull – qua in via Messina Marina in quello tempo quando loro venuto qua a Palermo c’erano alcuni gruppi di Eiyea: da Roma, da Bari, da Catania venuti pure a quella festa». E ancora: «Steve Owen Osagi e Godson hanno iniziato a litigare loro poi quando hanno iniziato questa cosa questa cosa molto importante». Una lite iniziata a Palermo e terminata, pare, dopo uno scontro in quel di Napoli il giorno seguente. «Godson ha preso il treno, andato a Napoli, noi che abito qui a Palermo, che non lo sa come è iniziato questo problema siamo rimasti uguali: non posso uscire da casa, non posso andare a fare nulla per nostra famiglia perché quegli altri di Eiye sono assai più di noi» per quello che secondo l’ex Black Axe sarebbe stato «l’inizio della guerra tra noi e Eiye qua a Palermo».

E proprio il capoluogo partenopeo sarebbe stata la principale rotta commerciale della droga, soprattutto dell’eroina, che dalla Campania finiva a Palermo e in fine tra i vicoli di Ballarò, spacciata da altri adepti deputati a questo ruolo, come il caso, sembra, di Victor Aleh, citato da ben due collaboratori di giustizia come uno dei referenti del cult Eiye per lo spaccio dell’eroina nel quartiere popolare. 

Nonostante Eiye e Black Axe siano le due fazioni più numerose e agguerrite della mafia nigeriana a Palermo, i collaboratori hanno indicato la presenza anche di altri cult, in particolare dei Vikings, ognuno con i propri colori e i propri rituali. Se infatti le insegne di Eiye sono blu e bianche a richiamare i colori del cielo, Black Axe, che pure con i rivali condivide la predilezione per le armi bianche e da taglio e i cocci di bottiglia acuminati, ma i loro colori di riferimento sono il giallo e il nero, mentre altri come Vikings, Pirats, Seedogs o Arubaga hanno chiari richiami al mare e alla pirateria, come navi, teschi e ossa incrociate e i colori dei cult sono generalmente rosso, bianco e giallo.

Gabriele Ruggieri

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