Mafia in Consiglio comunale, le repliche «Persone oneste infangate senza prove»

La maggior parte dei telefoni squilla a vuoto. Molti degli otto consiglieri comunali (o di municipalità) citati nella relazione della commissione regionale antimafia sull’ombra di Cosa nostra nel Consiglio comunale preferiscono non parlare. «Non rilascio dichiarazioni in questo momento, sono in attesa di avere un confronto con il mio avvocato. Voglio solo mettere la parola fine a questa storia, è una caccia alle streghe», spiega Erika Marco, eletta tra le file di Il megafono. Il suo è uno dei tre nomi sui quali la commissione all’Ars presieduta da Nello Musumeci ha raccolto più informazioni. Assieme al suo ci sono anche il nome di Lorenzo Leone (Articolo 4) e Riccardo Pellegrino (Pdl). «Non intendo rilasciare dichiarazioni», replica Pellegrino, il cui fratello Gaetano è stato arrestato dopo un blitz contro il clan Mazzei. «Ho dato mandato ai miei legali: l’avvocato Carlo Taormina del foro di Roma e l’avvocato Giuseppe Rapisarda del foto di Catania», afferma.

Ci sono poi i nomi di Salvatore Giuffrida (Tutti per Catania) e Salvatore Spadaro (Primavera per Catania), menzionati nella segnalazione anonima che ha fatto partire l’indagine parlamentare, ma rispetto ai quali «è stato più difficile rilevare riscontri significativi». «In sostanza, su di noi non hanno niente e veniamo attaccati soltanto perché abbiamo preso dei voti in periferia. Questa è discriminazione», arringa Spadaro. Uno dei più votati nel quartiere di Librino. «Io abito tra San Giorgio e Librino e gestisco degli uffici di patronato: è normale che la gente mi voti, perché mi conosce e mi sono sempre speso per il quartiere – aggiunge – Non sapevo di essere citato, ma non importa perché io sono sereno». Certo, anche lui, come la collega Marco, sta valutando di mettersi in contatto con il suo avvocato: «Mi sono costruito nel tempo un’immagine pulita. E adesso me la distruggono senza uno straccio di prova», conclude Salvatore Spadaro. 

Dello stesso avviso è Salvatore Giuffrida. Rispetto al quale la commissione parla di vicinanza «ad ambienti appartenenti alla criminalità del quartiere di Monte Po». A supporto di questa ipotesi i deputati regionali citano «mille preferenze in tre seggi, tutti nella zona di Monte Po». «Non si sono neanche scomodati a controllare in che quartiere io sia stato votato, questo lascia intendere la serietà di questa relazione – fa sapere Giuffrida – Non ho preso tanti voti a Monte Po, li ho presi al Pigno». Che è la zona di cui è residente. «Sono totalmente estraneo agli ambienti della criminalità organizzata – dichiara – Non si può gettare fango così su una persona onesta». 

Un ultimo gruppo di consiglieri comunali, poi, è quello in cui sono contenuti i tre nomi di Maurizio Mirenda (Grande Catania), Alessandro Porto (Patto per Catania) e Francesco Petrina (Primavera per Catania). Si tratta di consiglieri comunali i cui nomi sono emersi nel corso dei lavori della commissione antimafia all’Ars. Mirenda, a maggio 2013, una settimana prima delle elezioni comunali, viene monitorato dalla polizia etnea durante un incontro avvenuto a casa di Nino Balsamo. Un uomo che in quel momento si trovava agli arresti domiciliari e che è cognato di Orazio Privitera, boss detenuto del clan Cappello-Bonaccorsi. «Non conosco la sorella (Tina Balsamo, coinvolta nell’operazione Prato verde, ndr), non so nemmeno com’è fatta – dice Mirenda – Io sono andato in quel vicolo e abbiamo avuto una riunione con donne, bambini e famiglie a proposito della social card. Io ho comunicato che stava per uscire l’avviso», sostiene.


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Tra chi lascia parlare i propri avvocati, chi si difende da sé e chi lascia il telefono squillare a vuoto: sono molto diverse le reazioni degli otto consiglieri comunali citati nella relazione della commissione regionale antimafia. «È una caccia alle streghe», dice Erika Marco. «Discriminazione», accusa Salvatore Spadaro

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