Mafia in Comune, relazione sul tavolo prefettura Fava: «Valutare nomina commissione ispettiva»

La relazione della commissione regionale antimafia dopo Palermo e Roma è approdata sul tavolo della prefettura di Catania. Nelle mani della prefetta Maria Guia Federico sono finite le 17 pagine del documento che getta una pesante ombra sulle possibili infiltrazioni di Cosa nostra nel consiglio comunale cittadino. Un elenco che contiene nomi e cognomi di consiglieri eletti alle ultime amministrative, che sono finiti al centro dell’approfondimento dell’organo regionale presieduto da Nello MusumeciOtto politici: tre principali e cinque rispetto ai quali si avanzano dubbi più o meno fortiCinque di maggioranza – tra cui il presidente Lorenzo Leone della municipalità di Librino – e tre di opposizione. Un condensato in cui si annidano affari, dinamiche di reperimento dei consensi nei quartieri popolari e sopratutto alcune parentele. Come quella di Riccardo Pellegrino, all’anagrafe fratello di Gaetano u Funciutu, considerato un esponente del clan Mazzei. O quella di Lorenzo Leone, fratello di Gaetano, esattore del pizzo della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano.  

Elementi che avevano spinto il parlamentare Claudio Fava, vicepresidente della commissione nazionale antimafia, a parlare di «concreto rischio di condizionamento criminale» tra i banchi del Comune di Catania. Trascorsi alcuni giorni dalla diffusione dei nomi, avvenuta nella stessa data in cui veniva sentito a palazzo San Macuto il sindaco etneo Enzo Bianco per l’intercettazione con l’editore Mario Ciancio, Fava ha deciso di scrivere una lettera alla prefetta. Nella missiva, che ha in allegato proprio il documento con la black list, il deputato catanese avanza l’ipotesi di richiedere la nomina di una commissione d’accesso agli atti per Palazzo degli elefanti. Tre funzionari amministrativi che, qualora venissero incaricati, entro 90 giorni avrebbero il compito di svolgere un’attività ispettiva tra i faldoni del Comune. Per poi condensare il tutto in una relazione conclusiva, presupposto fondamentale per valutare la possibilità di sciogliere il senato cittadino. Tra gli elementi sintomatici che normalmente vengono messi sotto la lente d’ingrandimento ci sono anche i possibili collegamenti, diretti o indiretti, degli amministratori locali con la criminalità organizzata o, in alternativa, il condizionamento che la mafia potrebbe imporre al Consiglio.

«In passato mi sono mosso nello stesso modo per il Comune di Brescello – spiega a MeridioNews Claudio Fava -, in quel caso però indirizzai la lettera anche al presidente della Repubblica». Tra i banchi del consiglio comunale intanto nessuno vuole sentire parlare di Cosa nostra. Tra i più agguerriti difensori dei colleghi d’aula, durante l’ultima seduta, c’è stato Manlio Messina. Il capogruppo di Fratelli d’Italia ha concentrato la sua arringa nella frase: «Se qualcuno dei miei collegi ha avuto a che fare con la mafia, allora io sono un boss». Un fil rouge fatto di solidarietà, parole d’affetto e garantismo seguito dall’intera aula consiliare di Palazzo degli elefanti. Di atto «barbaro» ha invece parlato l’esponente del Megafono Daniele Bottino. Secondo quest’ultimo, la commissione antimafia starebbe tentando di infangare l’intero organo politico della città. A mancare, però, è ancora la valutazione della prefetta. La funzionaria è l’unica a poter richiedere l’avvio dell’iter ispettivo e, paradossalmente prima della missiva di Fava, l’unica a non aver ancora letto quei nomi in un documento ufficiale. 


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