«A tutela delle istituzioni cittadine e della decenza». È il motivo per il quale il vicepresidente della commissione antimafia, ospite di AddioPizzo, ha chiesto l'intervento di Angelino Alfano. Davanti al silenzio della giunta, seguito alla «menzogne grossolane» del primo cittadino a Palazzo San Macuto. Guarda il video
Mafia in Comune: Fava e il silenzio di Bianco «Con le sue bugie ci accusa di minchioneria»
«Ci siamo mossi tramite canali istituzionali per avere una sala di Palazzo degli elefanti. La presidente del consiglio comunale, Francesca Raciti, ci ha fatto sapere che avremmo dovuto chiederla con 30 giorni di anticipo e dietro pagamento». La prima frase di Claudio Fava, a Catania per spiegare i motivi dell’interrogazione presentata al ministro dell’Interno Angelino Alfano, è dedicata al Comune che gli ha negato una stanza per la conferenza stampa (che si è svolta nella sede di AddioPizzo Catania). Quella stessa istituzione al centro del documento dal quale scaturisce la richiesta al governo: la relazione della commissione antimafia all’Ars, all’interno della quale venivano citati otto consiglieri comunali (e uno di municipalità) per via di loro presunti rapporti con la criminalità organizzata. Su tutti il consigliere comunale Riccardo Pellegrino, fratello di Gaetano, quest’ultimo sotto processo perché accusato di essere uomo di fiducia del boss Nuccio Mazzei; e il presidente della sesta circoscrizione Lorenzo Leone, fratello di un altro Gaetano, condannato perché riscuoteva il pizzo per il clan Santapaola.
Il deputato nazionale e vicepresidente della commissione bicamerale antimafia, presieduta da Rosy Bindi, ha chiesto martedì ad Alfano di nominare una commissione di accesso agli atti del municipio catanese. «La relazione apre scenari inquietanti. C’è un dubbio da verificare e ci sono gli strumenti di legge per farlo – continua Fava – A tutela delle istituzioni cittadine e della decenza civile». A motivare l’interrogazione depositata alla Camera, il silenzio della prefetta Maria Guia Federico. Alla quale era stato chiesto un intervento sulla questione già il 17 gennaio, vale a dire il giorno dopo la diffusione del documento e l’audizione del sindaco di Catania Enzo Bianco a Palazzo San Macuto. «Non solo non è successo niente – afferma il vicepresidente dell’antimafia nazionale – ma non mi è arrivata neanche una lettera di presa visione. Non ho domandato che si prendessero provvedimenti, ho sottolineato che fosse necessario fare delle verifiche su condizionamenti diretti o indiretti della mafia sulle vicende comunali. Qui si è scelto di fermarsi prima ancora della verifica». Né ci sono state «reazioni visibili e concrete su una vicenda che intacca l’agibilità dell’amministrazione».
Anche su questo tema il primo cittadino catanese è stato sentito da deputati e senatori nel corso della sua audizione di fronte alla commissione nazionale. «Bianco, alla domanda diretta, ha risposto “Non conosco la relazione, non ce l’ho. Se i fatti hanno rilevanza penale o morale ho diritto a saperlo“», racconta Fava. «Bene, la rilevanza morale c’è senza dubbio. E non dovrei essere io dal parlamento a chiedere chiarezza – arringa il deputato – Dovrebbe essere il consiglio comunale a volere, lui per primo, un’attenta disamina. In nome, in primo luogo, del decoro istituzionale». Il contegno proprio di un sindaco sarebbe mancato al primo cittadino etneo anche nel rispondere alle domande della commissione nazionale antimafia. «Bianco ha scelto di mentire», sentenzia Claudio Fava. Il primo cittadino, nel corso del suo colloquio romano, ha negato di essere a conoscenza delle indagini a carico di Mario Ciancio Sanfilippo, l’editore ed ex direttore del quotidiano La Sicilia, accusato all’epoca di concorso esterno in associazione mafiosa. E recentemente prosciolto dalla giudice per le udienze preliminari con una sentenza che ha fatto discutere. Soprattutto per l’originale interpretazione del reato di concorso esterno che, secondo la magistrata, non esiste.
In riferimento all’intercettazione tra l’allora candidato sindaco – oggi eletto – e Ciancio, Bianco ha risposto «di non sapere che l’imprenditore più noto di Catania fosse indagato perché sospettato di essere la longa manus di Cosa nostra». «La sua risposta ci ha offeso – aggiunge il deputato – La sua menzogna era grossolana e il suo comportamento trasandato e puerile. Praticamente ci ha accusati di manifesta minchioneria». Davanti al silenzio delle istituzioni comunali, a parlare dovrebbe essere il governo nazionale. Con una risposta che dovrebbe arrivare a stretto giro. «È una cosa che ha bisogno di una risposta immediata – aggiunge Fava – Parliamo della possibilità di infiltrazioni di Cosa nostra in un Comune, Alfano deve rispondere rapidamente». Se lo farà, e se nominerà dei commissari, è dai documenti comunali che potrebbero emergere gli interessi della mafia: «Bisogna vedere gli atti di spesa, le delibere, le scelte – spiega Claudio Fava – Tutto ciò che è passato attraverso le decisioni del consiglio comunale o di municipalità». Così come sarà necessario studiare i flussi elettorali ai seggi e il conteggio dei voti. Secondo l’onorevole catanese, una possibilità da non scartare potrebbe essere anche quella di commissariare la municipalità di Librino. Ipotesi che circolava nei corridoi della prefettura nei giorni immediatamente successivi al caso e che, però, non è mai stata realizzata.
In serata è arrivata la risposta del primo cittadino attraverso un comunicato stampa. «L’onorevole Fava ha purtroppo cancellato Catania dalla sua memoria. Non ricorda che fui io stesso a chiedere di essere ascoltato dalla Commissione parlamentare antimafia di cui lui fa parte – si legge nella nota – Fava scorda che chiesi in maniera chiara alla magistratura di accertare se vi fossero nelle segnalazioni dell’Antimafia regionale sul Consiglio comunale di Catania dei fatti, non solo penalmente ma anche moralmente rilevanti. Ma se così non fosse, allora quello sollevato sarebbe soltanto un gigantesco polverone».