Nell'operazione che ha portato all'arreso di 22 persone dei clan dei Barcellonesi e del Mazzaroti, compare anche il nome del sindaco Salvatore Bucolo. Giudicato troppo onesto dal fratello, ritenuto uomo di spicco del clan per continuare a intrattenere i rapporti tra mafia e politica che, secondo i magistrati, vanno avanti dal 2007
Mafia, i dettagli del blitz Gotha 5 nel Messinese Tra discarica e pressioni sul Comune di Mazzarrà
Dagli intrecci con la politica, alle estorsioni, comprese quelle alla TirrenoAmbiente. L’inchiesta Gotha 5, che ha condotto all’arresto di 22 persone facenti capo ai clan dei Barcellonesi e dei Mazzarroti, svela anche il ruolo di alcuni personaggi estranei all’indagine. Come quello del sindaco di Mazzarrà Sant’Andrea, Salvatore Bucolo, attualmente indagato per peculato, in concorso, eppure ritenuto troppo onesto dal fratello, Angelo, fra gli uomini di spicco della mafia locale, per prestarsi a certi giochi.
Le indagini hanno inizio dalle dichiarazioni di Salvatore Artino – figlio di Ignazio, già esponente di primo piano dei Mazzarroti ucciso in agguato nel 2011 – che avvia la propria collaborazione con la giustizia dopo essere stato arrestato nel luglio del 2013, nell’ambito di Gotha 4. Salvatore Artino è ritenuto attendibile dai magistrati, che si sono avvalsi anche di altri collaboratori di giustizia: Carmelo Bisignano, Salvatore Campisi e Santo Gullo.
Secondo gli inquirenti, le estorsioni alla discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, attualmente chiusa e posta sotto sequestro dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto poiché ritenuta pericolosa, si intrecciano con il tentativo di controllare la vita politica del Comune. Di particolare importanza è l’attentato dell’inverno 2012, motivato dal rifiuto degli ultimi pagamenti. Salvatore Artino riporta i fatti nell’ambito della ricostruzione della sua ascesa, con la composizione di un gruppo unico al quale si affiliano Angelo Bucolo e Carmelo Perrone, inizialmente rivali e reggenti della cellula criminale dopo la morte di Ignazio Artino.
Innanzitutto va menzionata l’estorsione all’imprenditore Antonio Genovese, che si aggiudica i lavori della discarica, subentrando a Michele Rotella, tra il 2011 e il 2012. Proprio Bucolo, nipote di Genovese, e Perrone, in quanto dipendenti di TirrenoAmbiente, sembra riescano a scoprire i termini dell’offerta di Rotella, favorendo la presentazione di una di poco più vantaggiosa. In cambio, Genovese verserebbe loro la metà degli utili mensili, 15mila euro. Bucolo e Perrone, tuttavia, tratterrebbero per sé tutte le somme invece che dividerle al 50 per cento col clan dei barcellonesi, come da accordi, facendo incrinare i rapporti con Giovanni Perdichizzi, poi ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto nel gennaio 2013.
Dopo l’unificazione del clan, nel settembre 2012 si registra un attentato nella discarica per convincere i vertici di TirrenoAmbiente a tornare a pagare il pizzo. Giuseppe Reale, Sebastiano Torre e Carmelo Crisafulli, detto Pistolo, stando agli atti, fanno irruzione in motorino su decisione di Artino, Bucolo e Perrone, sparando e dando fuoco a quattro mezzi. Perdichizzi, pure lui d’accordo, inizialmente congegnerebbe una bomba. Ma Bucolo pare si opponga, per non mettere a repentaglio la vita del personale di vigilanza. Artino, successivamente, invita lo stesso Angelo Bucolo a convincere il fratello Salvatore, sindaco di Mazzarrà Sant’Andrea, a intervenire perché TirrenoAmbiente riprenda a pagare. Ma Angelo Bucolo – come emerge dall’inchiesta – lo dissuade dicendo di non fidarsi del fratello il quale potrebbe farli arrestare.
Conferme dello scacco, al quale TirrenoAmbiente è sottoposta, arriverebbero dall’elezione a sindaco di Carmelo Navarra, nel maggio 2007. Artino, riportando quanto a sua volta gli avrebbe rivelato suo padre, individua negli interessi legati a quelle elezioni la principale ragione della composizione dei rapporti interni al gruppo, incrinatisi dopo l’assassinio di Antonino Rottino, nell’agosto 2006, con cui i barcellonesi non sarebbero stati d’accordo.
Nello Giambò, ex sindaco e presidente di TirrenoAmbiente, avrebbe assicurato a Ignazio Artino e agli altri Mazzarroti la corresponsione di una forte somma qualora Navarra, già primo cittadino nella precedente legislatura, fosse stato eletto. Un milione e mezzo di euro da riscuotere in 5 anni, da dividere tra lo stesso Artino, Tindaro Calabrese, Carmelo Trifirò, Enrico Fumia e Aldo Nicola Munafò. Oltre ai diecimila euro mensili estorti alla società.
Ma la somma che, sempre secondo gli atti, sarebbe stata erogata con la complicità dell’assessore al Bilancio, Carmelo Pietrafitta, pare non sia arrivata per intero nelle tasche dei destinatari. Sembra sia stato Ignazio Artino a intascare quanto versato anche per gli altri, rimasti coinvolti nell’operazione Vivaio, nel 2008. Da quanto riporta Salvatore Artino, vengono corrisposti 20-30mila euro per volta. Una di queste tranche sarebbe stata utilizzata per finanziare una vacanza della famiglia Artino, sotto Natale. Ventimila euro in contanti per soggiornare a Verona due settimane, spendendo dai 500 ai mille euro al giorno. Le somme, ricavate anche dalle fatture gonfiate di appalti pubblici, sarebbero state versate dal 2007 al 2009, finché Pietrafitta – che ha sempre negato ogni addebito – è rimasto in carica.
Lo stesso Salvatore Artino, malgrado non sappia se relativamente a quell’accordo, ammette di avere ricevuto compensi – 500 euro per volta – dall’attuale amministrazione per prestazioni occasionali mai svolte. Stando ai racconti del padre, parla di posizione da sempre subalterna di Navarra nei confronti di personalità più carismatiche nel Comune. A comandare sarebbero stati Nello Giambò (condannato a 8 anni di reclusione dalla corte d’appello di Messina nell’ambito dell’inchiesta Vivaio, l’11 marzo 2014) e Carmelo Pietrafitta, mentre Navarra sarebbe stato solo un «pupo» che si limitava a firmare.
A convincere, minacciandolo, il vivaista Pietro Torre, amico del padre di Artino, a ritirare la candidatura nel corso di quelle amministrative sarebbe stato Tindaro Calabrese, all’epoca al vertice del clan. Anche questo retroscena sarebbe stato riportato ad Artino dal padre Ignazio che inizialmente si sarebbe opposto. La deposizione di Salvatore Artino, in alcuni punti, stride con quella di altri collaboratori, impedendo di dimostrare il ricorso ai metodi mafiosi. Cosa che ha risparmiato a Navarra l’arresto in via cautelare.