Sabato a Ramacca, nella chiesa di San Giuseppe, i funerali dell’uomo indicato come il capo della famiglia mafiosa locale. Nel 1988 venne coinvolto nella maxi inchiesta Criminalpool. Da tempo era uscito dai radar
Mafia, è morto a 96 anni Calogero Liddu Conti L’inchiesta di Falcone, i Corleonesi e Calderone
«È una persona molto importante. Il suo nome non è mai venuto fuori dalle indagini giudiziarie. Lui è
particolarmente vicino ai Corleonesi e in particolare a Luciano Leggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano». Il boss pentito Antonino Calderone non aveva dubbi nel tracciare il profilo di Calogero Liddu Conti, indicato nei
verbali d’interrogatorio, senza giri di parole, come «il capo della mafia a Ramacca e vice rappresentante di
Cosa nostra della provincia di Catania».
Era il 16 aprile del 1987 e Calderone svelava particolari e nomi
assolutamente inediti mentre ad ascoltarlo, dall’altro lato della scrivania in una stanza del palazzo di
giustizia di Marsiglia, c’erano il giudice istruttore Giovanni Falcone e l’allora vice questore Antonio
Manganelli. Da quelle dichiarazioni, dodici mesi dopo, sarebbe scattata l’imponente operazione antimafia
Criminalpool: 160 mandati di cattura e la ricostruzione completa della mappa di Cosa nostra in tutte le
province siciliane. Politici, costruttori e mafiosi. Tutti insieme a fare affari. A Ramacca le manette scattarono
ai polsi dell’agricoltore Calogero Conti, da tutti chiamato con il diminutivo di Liddu, e del figlio 33enne
Francesco.
Venerdì scorso, all’età di 96 anni, Conti è morto nella sua casa in via Archimede, a Ramacca, poco distante
da piazza Margherita. Da tempo, escludendo i racconti di qualche pentito, di lui si era persa ogni traccia da
inchieste e blitz. Lontano da aule di giustizia e dalle anguste celle dei penitenziari. I funerali, preceduti
dall’affissione dei necrologi in paese, sono stati celebrati sabato mattina, intorno alle 10.30, nella chiesa di
San Giuseppe. Per l’ultimo saluto oltre a parenti e amici – e ad alcuni agenti delle forze dell’ordine in
borghese – anche un gran numero di ghirlande di fiori, arrivate pure dalla provincia di Agrigento. Ricordi
delle radici a Palma di Montichiaro.
Tra gli aneddoti legati alla figura di Conti due sono i più famosi. C’è quello riguardante il battesimo mafioso
di un boss di primo piano come Ciccio La Rocca. Stando a un racconto di quest’ultimo, captato dalle
microspie nel 2001, a fargli da padrino nella cerimonia d’iniziazione fu proprio lo «zu’ Liddu». La Rocca poi
di strada nel mondo mafioso ne ha fatta parecchia, diventando il capo della famiglia di Cosa nostra di
Caltagirone. L’anziano boss, secondo quanto accertato da MeridioNews, adesso fa la spola con l’ospedale a
causa delle sue precarie condizioni di salute, le stesse che durante la pandemia lo hanno portato dal carcere alla detenzione domiciliare nella sua casa a San Michele di Ganzaria.
Calogero Conti, in passato, si sarebbe occupato anche di curare un periodo di latitanza nelle campagne di Ramacca di Luciano
Leggio, la primula rossa di Cosa nostra e tra i principali imputati del maxi-processo di Palermo. A cavallo tra
gli anni ’70 e ’80, il Calatino era lo snodo nevralgico per discutere alleanze e affari. Nel 1969, il capo di Cosa nostra a Catania Pippo Calderone – detto cannarozzu d’argento a causa di un’operazione
alla laringe che rendeva metallica la sua voce e fratello di Antonino- incontrò per la prima volta Totò Riina proprio a Ramacca.
A soffermarsi sul paese dell’entroterra, più recentemente, è stato anche il pentito Santo La Causa. Per anni
reggente dell’ala militare della famiglia di Cosa nostra catanese dei Santapaola-Ercolano. Nel processo Iblis sull’intreccio tra mafia, politica e imprenditoria La Causa tratteggiò l’autonomia e il prestigio di cui avrebbe
goduto il gruppo calatino: «Enzo Aiello mi disse – racconta a verbale citando le parole del boss – che a
Ramacca c’era una famiglia a sé, che non doveva dare conto a Catania. Era di Liddu Conti ma essendo
anziano non voleva più saperne. Fu quest’ultimo a presentare Pasquale Oliva ad Aiello».