I religiosi si sono giustificati indicando una denuncia alla polizia per segnalare la presenza dei dispositivi sul tetto della loro chiesa. Il documento però non è stato mai trovato. I fatti rientrano nell'inchiesta dei giorni scorsi ribattezzata Salette
Mafia e droga, due preti indagati a San Cristoforo Avrebbero manomesso telecamere dei carabinieri
«Chi le ha messe è stato poco intelligente. Non ha detto nulla e sono visibilissime dalla strada. Questo nel quartiere, a noi, crea tante difficoltà». Quando il sacerdote si rivolge ai carabinieri di piazza Dante, non immagina che a piazzare quelle telecamere sono stati proprio i militari che ha davanti. Due occhi elettronici sistemati dagli investigatori sul tetto della chiesa per sorvegliare la casa di un uomo accusato di essere specializzato nel traffico di droga e ritenuto vicino al clan mafioso Cappello guidato dal presunto boss Massimiliano Salvo. Nel rione popolare San Cristoforo però quei dispositivi non sarebbero passati inosservati, come ammette lo stesso prete quando viene convocato in caserma con un altro religioso.
I due – insieme, durante le indagini, in servizio nella chiesa di Santa Maria delle Salette – sono finiti indagati nell’operazione antidroga portata a termine nei giorni scorsi dai carabinieri. Secondo l’accusa i sacerdoti avrebbe messo fuori uso le telecamere favorendo, di fatto, gli indagati. La procura aveva anche chiesto il divieto di permanenza a Catania e provincia per i religiosi ma la misura non è stata accolta dalla giudice per le indagini preliminari. Volevano aiutare davvero i presunti gestori della droga o la loro azione nasconderebbe altro? In realtà dietro la manomissione potrebbe celarsi un comportamento «in buona fede e senza la volontà di aiutare qualcuno a eludere le indagini», si legge nell’ordinanza che ha portato dietro le sbarre otto persone.
A non convincere la giudice Simona Ragazzi sono le modalità con la quale si risale agli autori dell’oscuramento delle telecamere. Di fatto autoaccusatisi del danneggiamento. Nell’estate 2016 i due preti vengono convocati in caserma dai carabinieri con una scusa. «Non funziona il ripetitore telefonico messo nel campanile e la Wind ci ha chiamato», sono le parole con cui vengono accolti. La tesi però non è abbastanza convincente e poco dopo il colloquio avviene a carte scoperte, almeno sul fronte dei prelati. I due, senza troppi giri di parole ammettono di avere oscurato le telecamere. Il motivo? Nessuno li aveva avvertiti di averle piazzate e, stando al loro racconto, non avrebbero ricevuto riscontri nemmeno da alcuni uomini delle forze dell’ordine da loro contatti per avere spiegazioni. La prima mossa era stata quella di coprire il dispositivo sul campanile con un sacchetto di plastica. Nella speranza che qualcuno si presentasse in chiesa. Ma così non è stato, lasciando campo libero alla misura più drastica: tagliare i fili e oscurare il collegamento.
Secondo i due religiosi ci sarebbe pure una denuncia, presentata ai poliziotti della questura di via Manzoni. Uno dei due preti sostiene di averla fatta a nome suo ma, stando alle verifiche dei carabinieri, quel pezzo di carta non esisterebbe in nessuna banca dati. Sconosciuto sarebbe anche un ispettore di polizia indicato dai preti come un loro parrocchiano. Lo stesso che avrebbe fatto da tramite per indirizzare i sacerdoti a un alto funzionare del commissariato centrale. Quest’ultimo, stando al racconto, avrebbe effettuato alcune verifiche non riuscendo a risalire agli autori del montaggio delle telecamere. Da qui la scelta di intervenire direttamente, prima con il sacchetto di plastica e poi, come scritto precedentemente, tagliando i fili di collegamento. «È plausibile che quella fatta dai due sacerdoti possa essere stata una segnalazione verbale – scrive la giudice nell’ordinanza -. Per confutare la tesi degli indagati è necessario effettuare una più approfondita e sostanziale verifica», conclude.
Il vero obiettivo degli inquirenti era la casa di Salvatore Panassiti. Arrestato per droga davanti alla chiesa Santa Maria delle Salette nel dicembre 2015 e passato ai domiciliari circa tre mesi dopo. La sua abitazione, secondo l’accusa, sarebbe diventata una sorta di centro logistico degli stupefacenti. A fargli visita è anche il presunto boss Massimiliano Salvo. Il 20 maggio 2016 un gruppo di persone si ritrova a casa di Panassiti, pochi minuti dopo il trasferimento nella vicina chiesa di Santa Maria delle Salette per il funerale di Mario Querulo, morto in circostanze misteriose durante una corsa di cavalli.