Mafia, dinastia dei Salvo all’ombra dei Cappello Da Pippo ‘u carruzzeri al rampollo Massimiliano

Il procuratore capo di Catania lo ha ribattezzato «
lo stratega» perché a lui sarebbe spettato il compito di gestire gli affari del clan mafioso dei Cappello nella città di Catania. Si tratta di Massimiliano Salvo, 34 anni, arrestato nell’operazione antimafia Penelope e inserito, secondo gli inquirenti, nel cerchio magico che avrebbe cercato di dare nuova linfa al clan nato alla fine degli anni ’80 per volontà di Salvatore Cappello. Per la prima volta la cosca ha tentato di fare il salto di qualità inserendosi in alcuni tra gli affari più redditizi, come quello della ristorazione e del ciclo della raccolta dei rifiuti. Salvo, di base in via Torre del Vescovo a due passi da via Plebiscito, è stato arrestato dagli agenti della squadra mobile nella stanza di un hotel a Parma. Il suo fortino però sarebbe rimasto sempre il quartiere Antico corso, lo stesso finito al centro della cronaca nel 2015 con un approfondimento di MeridioNews sulla festa di Sant’Agata. In quella circostanza il cereo degli ortofrutticoli si fermò nei pressi del suo balcone eseguendo la cosiddetta annacata

Il presunto boss non è nuovo a problemi con la giustizia e il suo cognome riporta indietro nel tempo alle inchieste che hanno coinvolto il
fratello Gianpiero, condannato in primo grado per la strage di Catenanuova, e il padre Giuseppe. L’anziano boss che ha mosso i primi passi come meccanico, da qui il soprannome di ‘u carruzzeri, nei pressi di via Villascabrosa a San Cristoforo. I pensieri per chiavi inglesi e i bulloni passano presto in secondo piano e Salvo riesce a farsi strada nella mafia catanese diventando un boss temuto e rispettato, ma anche molto odiato. Dal 1982 vive senza un polmone, asportatogli dopo essere stato vittima di un agguato in via Barcellona. Ormai da anni si trova detenuto nel carcere di Parma dopo essere stato condannato all’ergastolo. 

Il figlio più piccolo, Massimiliano, è finito al centro di alcuni verbali dei collaboratori di giustizia che ne hanno tratteggiato il profilo criminale. A parlare di lui è Davide Seminara, ex uomo fidato del latitante Andrea Nizza: «Durante una riunione nell’aprile 2014 Andrea disse che il suo gruppo in accordo con i Cappello, in particolare con Massimo detto ‘u carruzzeri volevano mettere sotto estorsione tutto il mercato ortofrutticolo e volevano che partecipassero anche i Mazzei. Tutti i nuovi banchi dovevano essere sottoposti a estorsione senza eccezioni per nessuno». Il «colonnello dei Cappello» viene anche accusato dal pentito Orazio Cardaci che lo indica come partecipe all’omicidio di Prospero Leonardi, avvenuto il 23 maggio 2012 a Catenanuova

Per Salvo spicca il mandato di cattura nell’ambito dell’operazione Lock out, dei carabinieri di Enna su delega della procura di Caltanissetta, ma l’uomo si rende latitante. Dopo un paio di mesi, all’indomani di quando il tribunale del riesame annulla la misura cautelare nei suoi confronti, Salvo si ripresenta alle forze dell’ordine. La sua, nonostante la giovane età, è sempre stata una vita in fuga. Nel 2015, quando era sorvegliato speciale e obbligato a firmare in questura tre giorni a settimana, si rende irreperibile per 15 giorni ma il suo legale lo giustifica affermando che «quei decreti erano scaduti». Qualche anno prima la storia era stata la stessa e gli agenti beccano il presunto boss sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria. In quell’occasione il tribunale di Torre Annunziata lo condanna agli arresti domiciliari nella sua casa di Catania.

La famiglia Salvo conta anche Gianpiero, fratello maggiore di Massimiliano. Il nome del primo viene accostato a uno dei più gravi fatti di sangue che la storia recente ricordi in provincia di Enna: la strage di Catenanuova, avvenuta il 15 luglio 2008 quando un commando armato di kalashnikov e pistole fa irruzione dentro al bar Grasso, di via Vittorio Emanuele III. In quel regolamento di conti rimane ucciso Salvatore Prestifilippo Cirimbolo e rimangono ferite altre cinque persone. La vittima era accusa di fare il doppio gioco con la famiglia mafiosa di Cosa nostra dei Santapaola. Vicenda per la quale Gianpiero Salvo è stato condannato in primo grado all’ergastolo


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