Mafia, denuncia di due fratelli dopo un anno di violenze Ora tre rinviati a giudizio per tentata estorsione e lesioni

Sono stati rinviati a giudizio per il tentativo di estorsione aggravato dal metodo mafioso Giuseppe Calcagno e i fratelli Carmelo e Salvatore Scafidi. In più, quest’ultimo insieme a Calcagno dovrà rispondere anche di lesioni, pure quelle aggravate dal metodo mafioso. Reati compiuti ai danni di due fratelli imprenditori di Biancavilla che, dopo oltre un anno di violenze e intimidazioni, li avevano denunciati. Adesso, il processo è stato fissato davanti alla prima sezione del tribunale in composizione collegiale e la prima udienza si terrà il 21 settembre. Come parti civili sono state ammesse una delle due vittima e anche l’Asaec, l’associazione antiestorsione di Catania. 

«Seguire le vittime fin dal primo momento e accompagnarle alla denuncia – commenta a MeridioNews Nicola Grassi, il presidente di Asaec – è uno dei ruoli fondamentali delle associazioni come la nostra. La costituzione di parte civile presuppone e ha senso dopo un percorso di accompagnamento delle vittime». In questa vicenda, l’associazione è stata al fianco degli imprenditori ancor prima della denuncia e continua a farlo anche adesso che il processo è alle porte. In seguito all’esposto ai carabinieri, tutti e tre gli attuali imputati sono stati arrestati nel gennaio del 2020.

«Dove sei che ti taglio la testa?». È questo l’incipit della prima conversazione telefonica che avviene a metà settembre del 2018. Da un lato della cornetta ci sono Giuseppe Calcagno e Salvatore Scafidi, dall’altro lato una delle due vittime. Partono così le minacce e le violenze per costringere i fratelli a estinguere un debito di circa 58mila euro che la loro cooperativa agricola, ormai in liquidazione, aveva contratto nei confronti di un’altra società di cui solo, però, Carmelo Scafidi era socio consigliere. In quel primo dialogo, l’imprenditore accenna già la volontà di informare le forze dell’ordine. «Vai dai carabinieri, li porti qua e io li lego insieme a te nel paraurti della macchina e ci facciamo un giro per strada», avrebbe ribattuto subito Calcagno. Nei giorni successivi, i tre estorsori sarebbero tornati all’attacco intimando ai due fratelli di pagare anche con una parte di produzione di arance o con qualche macchinario dell’azienda.

Nell’agosto del 2019 Scafidi e Calcagno incontrano una delle vittime alla villa comunale di Adrano e minacciano di ucciderlo se non avesse estinto il debito che, in realtà, non avrebbero avuto alcun diritto di vantare. I due avrebbero fatto esplicito riferimento alla necessità di soldi dovuta al sequestro subìto da parte della Direzione investigativa antimafia. Un modo, non troppo velato, di rimandare a provvedimenti giudiziari di natura patrimoniale dovuti alla loro vicinanza alla criminalità organizzata. Circa un mese dopo, entrambi si sarebbero presentati nel magazzino: «Si tranquillo? Te spicciasti i sordi?», avrebbe detto Calcagno a una delle vittime prima di colpirla con una testata e anche con una cassetta di quelle che si usano per la frutta e la verdura. Mimando il gesto del taglio della gola, gli avrebbe promesso che sarebbero tornati entro una settimana per ucciderlo. «Tu ma dari i soddi (Tu mi devi dare i soldi, ndr)», avrebbe aggiunto Scafidi mentre dava alla vittima due schiaffi al viso e una pedata nei genitali. Fuori dal magazzino, Calcagno avrebbe anche strappato la maglietta della vittima. Un’aggressione per cui dall’ospedale di Biancavilla arriva una prognosi di sette giorni.

Intanto, Scafidi e Calcagno si sarebbero vantati con un fornitore di prodotti (che è anche il testimone di nozze) dell’imprenditore di averlo picchiato, riferendo di essere loro a comandare ad Adrano, di avere il dominio della zona e che, comunque, prima di agire, avrebbero chiesto il consenso al reggente mafioso di Biancavilla. È fine ottobre quando i tre tornano all’attacco con le minacce telefoniche. «Tu mi devi dare i soldi, ma io penso che a qualcuno gli faccio male – dice Calcagno – perché io non mi posso muovere. Devo andare a lavorare e non posso, a rubare non ci posso andare ma a fare male alle persone lo so fare». Lo stesso giorno è la vittima a contattare Carmelo Scafidi per chiedergli un incontro di presenza riferendogli della minaccia e cercando di rabbonirlo ribadendo di non potere saldare il debito. «Una metà (di raccolto delle arance, ndr) tu me li devi dare, me lo devi fare per favore – ribatte Scafidi dopo avergli offerto anche la propria protezione – Mi sto seccando, tu non mi stai volendo bene, mi stai portando al punto che mi devo comportare male». 

Marta Silvestre

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