Mafia, cronisti a caccia col fucile scarico

I cronisti di mafia che pubblicano le notizie scottanti sono come i cacciatori di belve feroci: devono avvicinarsi molto alla fiera e guardarla dritto negli occhi senza mostrare paura, scrive Alberto Spampinato in un saggio di trenta cartelle pubblicato sull’ultimo numero di “Problemi dell’Informazione” (Il Mulino, n.1, 2008). La rivista fondata da Paolo Murialdi, e diretta da Angelo Agostini, in questo numero mette sotto la lente d’ingrandimento le difficoltà concrete e a volte drammatiche che incontrano i giornalisti che non si rassegnano a raccontare le cose osservandole da lontano o riferendo versioni altrui.

Per trovare «le notizie più pericolose, quelle che svelano il volto orrendo della mafia, gli affari illeciti di qualche potentato, gli scambi immondi fra politica e criminalità, i retroscena inconfessabili degli appalti, i patti illegali che dissanguano le finanze pubbliche, l’oscura origine di fortune personali inspiegabili», spiega Spampinato sulla rivista diretta da Angelo Agostini, un cronista non può agire diversamente, non può adottare l’usuale prudenza, deve avere l’indole del lupo solitario che esce dal branco. Deve accettare rischi che non finiscono al momento dello scoop, ma anzi dal momento della pubblicazione aumentano. Il giornalista “indiscreto” da allora comincia a ricevere pressioni, avvertimenti, intimidazioni, minacce, attentati, attenzioni che si intensificano se non dà convincenti prove di ravvedimento. Acuto osservatore di questo fenomeno da oltre trent’anni, Spampinato fa osservare che la situazione personale di questi cronisti si complica anche nel rapporto con gli altri giornalisti. «Di solito i colleghi prudenti – scrive – rimproverano la fuga in avanti al cronista che si è ribellato alla regola del quieto vivere. Più o meno apertamente, lo accusano di aver violato un patto tacito, e di averlo violato per farsi bello a loro spese. Nascono incomprensioni, gelosie, rivalse, scambi di accuse. Tensioni che impediscono di tributare una solidarietà piena e incondizionata al cronista in pericolo. Il cronista minacciato dovrà fare i conti con queste complicazioni, a volte insormontabili, quando l’Ordine dei giornalisti, chiamato a esaminare il caso, esiterà, come spesso accade, fra il giudizio salomonico e la colpevolizzazione dell’”imprudente”.

Spampinato descrive anche altre dinamiche ricorrenti: l’innalzamento della soglia della notizia all’interno delle redazioni; la sindrome che acceca in modo selettivo, cancellando dalla retina del cronista solo le notizie scomode; la sindrome della sfida, che fa diventare imprudente anche il cronista più pauroso; l’isolamento di fatto che subisce chi maneggia il fuoco con le mani; la moria dei giornali più impegnati a denunciare i misfatti delle mafie.

Sui cronisti minacciati, intimiditi, censurati, costretti a vivere nella nostra Italia con la scorta armata, Spampinato chiede al mondo giornalistico e agli editori di fare «una attenta riflessione» che finora non c’è stata, per «riconoscere la specialità di questa casistica, definire uno status più preciso del giornalista minacciato, stabilire criteri di valutazione più idonei del suo comportamento». A suo giudizio, «bisogna tenere conto delle tensioni connaturate e fare tesoro delle esperienze precedenti, e per giudicare questi casi, gli organismi di tutela deontologica dovrebbero impiegare organi di giudizio speciale, o quantomeno rafforzati con la partecipazione di competenze specifiche».

Ci sarebbe inoltre da fare i conti con «il rischio di essere usati» che è molto più grande di quanto si creda, e che nasce sul versante «delle notizie sulla mafia che non danno fastidio alla mafia», ma anzi sono gradite perché diffondono, propagano, amplificano l’effetto terroristico dei delitti mafiosi.

«È lo stesso problema che, su più vasta scala, si ha di fronte alle rivendicazioni di attentati del terrorismo politico o di matrice internazionale, davanti ai messaggi di Bin Laden o ai videoclip dei tagliatori di teste iracheni». Solo che, conclude Spampinato, «per la mafia si finge che il problema non esista» nonostante lo abbia indicato anche il Procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso sottolineando il vuoto di analisi e di attenzione su questi temi e indicando in queste disattenzioni un limite del giornalismo odierno.

Alberto Spampinato, quirinalista del’Ansa, consigliere nazionale della FNSI, fratello di Giovanni, il corrispondente del quotidiano L’Ora ucciso a Ragusa nel 1972 mentre pubblicava inchieste sui gruppi eversivi neofascisti e su un oscuro omicidio, ha già pubblicato un saggio sullo stesso argomento nel 1985 (“Se il giornalista resta solo”). Oggi dice: «Ho ragione di credere che da allora i rischi che corre il cronista di mafia non siano cambiati molto. Non è vero che non c’è niente da fare. Le cose da fare sono tantissime. Ci sono compiti per giornalisti, editori, politica, istituzioni… C’è solo da rimboccarsi le maniche. Forse ci sono anche le condizioni».


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