Mafia, altri 24 arresti nell’Agrigentino: è la prosecuzione dell’operazione dello scorso dicembre

Altri arresti in quella che è la prosecuzione dell’operazione dello scorso dicembre, che aveva portato all’arresto di 24 persone. Stamattina ad Agrigento e in altri centri della provincia – Favara, Canicattì e Porto Empedocle – e a Gela, in provincia di Caltanissetta, è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 51 persone, alcune delle quali già in carcere: sono accusate, a vario titolo, di appartenere a Cosa nostra e di far parte di un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e di altro. Tra le 51 persone indagate in quest’indagine ci sono anche le 24 arrestate lo scorso dicembre. Per 36 delle 51 persone indagate è stata disposta la custodia cautelare in carcere, mentre per le altre 15 quella degli arresti domiciliari. Al momento le misure cautelari eseguite sono 48, perché per tre persone non si è potuto procedere, visto che al momento si trovano all’estero. Come detto, è la prosecuzione dell’inchiesta che lo scorso 17 dicembre ha toccato le famiglie mafiose di Agrigento-Villaseta e di Porto Empedocle, in provincia di Agrigento: in questa seconda fase dell’indagine si ipotizza pure un traffico di droga. Villaseta è una frazione di Agrigento.

Le indagini, svolte dai carabinieri di Agrigento e dirette dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Palermo, sono partite a dicembre 2021 con lo scopo di ricostruire l’organigramma e le attività criminali delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento-Villaseta. Queste avrebbero a capo rispettivamente Fabrizio Messina (49 anni) – con precedenti penali – e Pietro Capraro (39 anni), pregiudicato anche lui. Secondo le forze dell’ordine, questo dimostra che «pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni, Cosa nostra agrigentina è tutt’oggi pienamente operante, dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi, per di più in un contesto caratterizzato da una instabilità degli equilibri mafiosi faticosamente raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti tra gli associati ristretti all’interno del circuito carcerario e gli ambienti criminali esterni».

La nota delle forze dell’ordine aggiunge che «è stato riscontrato, infatti, un sistematico utilizzo di apparecchi telefonici da parte degli uomini d’onore, o di soggetti contigui al sodalizio, durante i rispettivi periodi di detenzione, lasciandone in tal modo inalterate le capacità di comando e consentendo loro di mantenere i contatti con i correi in libertà e di impartire ordini e direttive». Secondo i carabinieri di Agrigento, «la capacità dell’associazione mafiosa di controllare le dinamiche criminali del territorio è emersa in modo evidente, essendosi raccolti chiari elementi dimostrativi della commissione di numerosi reati (estorsioni, detenzioni di armi, incendi e danneggiamenti) tutti realizzati avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p.», cioè associazioni di tipo mafioso anche straniere.

Secondo chi indaga, le persone arrestate – «avvalendosi della forza di intimidazione derivante dall’appartenere all’organizzazione mafiosa denominata Cosa nostra» – avrebbero costretto l’amministratore di una società aggiudicataria dei lavori di raccolta e di trasporto di rifiuti nel Comune di Agrigento ad assumere come operai «almeno cinque persone a loro legate per vincoli familiari o comunque di loro fiducia»; avrebbero costretto «il legale rappresentante di una società di carburanti ad interrompere il rapporto lavorativo con un dipendente per sostituirlo con un’altra persona a loro gradita»; avrebbero dato «fuoco, al fine di danneggiarli, a due autocarri intestati a una ditta di costruzioni»; avrebbero costretto «l’amministratore della società aggiudicataria dei lavori di riqualificazione della piazza della Concordia del quartiere di Villaseta, ad assumere quale operaio una persona a loro gradita»; inoltre avrebbero costretto «anche la ditta aggiudicataria in subappalto degli stessi lavori ad assumere operai a loro graditi».

Secondo chi indaga, inoltre, avrebbero fatto «una rapina presso il distributore DB di Villaseta, durante la quale s’impossessavano della somma di 400 euro, che sottraevano al dipendente utilizzando violenza e minaccia»; avrebbero costretto «il titolare di un bar di Agrigento e i suoi dipendenti, a erogare loro cibi e bevande senza pagarne il corrispettivo, così procurando a sé l’ingiusto profitto conseguente alla consumazione gratuita di generi alimentari»; avrebbero costretto «mediante ripetuti atti di violenza e minacce esplicite, il titolare di un esercizio commerciale di Agrigento a corrispondere loro mensilmente la somma di 1.000 euro, così procurando a sé e ad altri l’ingiusto profitto conseguente all’indebita acquisizione della somma di denaro»; avrebbero dato «fuoco, al fine di danneggiarlo, a un furgone intestato a una rivendita di bevande di Porto Empedocle»; in un’altra circostanza avrebbero esploso «diversi colpi d’arma da fuoco nei confronti della saracinesca della suddetta rivendita»; avrebbero esploso «quale azione dimostrativa a scopo d’intimidazione, diversi colpi di arma da fuoco in direzione della porta d’ingresso dell’abitazione di un uomo di Agrigento, resosi colpevole di aver avuto un litigio con il figlio di uno dei sodali».

Inoltre, secondo chi indaga, «gli esponenti di vertice delle famiglie mafiose di Porto Empedocle e Agrigento-Villaseta risultano, inoltre, avere diretto e promosso due ulteriori distinte associazioni dedite al traffico di sostanza stupefacente, che hanno acquisito in piena sinergia tra loro, il monopolio di siffatto redditizio settore criminale nella provincia di Agrigento». Secondo i carabinieri «entrambi i sodalizi criminali hanno, peraltro, dimostrato di possedere una non comune capacità di approvvigionamento mediante l’attivazione di contatti e rapporti commerciali non solo con i gruppi criminali delle altre province siciliane, ma anche con altri gruppi sia nazionali che esteri (Belgio, Germania e Stati Uniti)». Dalle indagini emergerebbe che «numerosissimi sono stati i trasporti di ingente sostanza stupefacente e la sua relativa cessione a terzi al fine di essere ulteriormente rivenduta al dettaglio. Nel corso dell’indagine, infatti, sono stati sequestrati oltre 100 chili di hashish, oltre sei chili di cocaina e, lo scorso mese di novembre, anche la somma in contanti di 120mila euro contenuta in cinque pacchi sottovuoto occultati all’interno di un’autovettura».

Secondo chi ha svolto le indagini, «le più recenti risultanze investigative hanno registrato un’improvvisa e allarmante recrudescenza di gravi atti intimidatori, realizzati anche mediante l’utilizzo di armi, probabilmente dovuta sia all’imposizione del rispetto della competenza territoriale sia ai tentativi di osteggiare l’egemonia del gruppo mafioso allo stato al vertice della famiglia di Agrigento-Villaseta. Si profilava, pertanto – continuano i carabinieri – il concreto rischio che potesse verificarsi un crescendo di azioni intimidatorie che avrebbe potuto portare alla commissione di reati ancora più gravi, ovvero quella che gli stessi indagati definiscono una vera e propria guerra di mafia, alla quale lo scorso mese di dicembre è stato posto un freno con l’esecuzione di un provvedimento di fermo di indiziati di delitto emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo», che ha portato all’arresto e al carcere per 24 persone, oltre alle numerose perquisizioni «sia nell’immediatezza che nei giorni successivi, le quali permettevano di rinvenire e sequestrare, tra le altre cose, un arsenale composto da numerose armi e munizioni anche da guerra, tra cui una bomba a mano e una pistola mitragliatrice calibro 9, nonché la somma in contanti di 80mila euro».


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