Antonino Bonafede è il padre di Natale Bonafede, considerato il capo della locale cellula di Cosa Nostra marsalese, in carcere dal 2003. L’uomo, 79 anni, già sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno dal 1999 al 2004 e condannato, nel 2000, in via definitiva dalla Corte di Appello di Palermo a sei anni di reclusione per associazione mafiosa, in quanto considerato uomo d’onore della famiglia mafiosa marsalese, nel maggio 2003 era stato coinvolto anche nell’operazione Peronospera II , e condannato dalla Corte di Appello nel 2007 ad un anno di reclusione, in continuazione con la precedente condanna, per associazione di stampo mafioso, in relazione a precedenti condotte poste in essere fino al 1997, per avere avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione del racket del pizzo. Infine, nel marzo 2010, è stato coinvolto nell’operazione Golem 2, con cui fu smantellata la rete dei presunti fiancheggiatori del latitante Matteo Messina Denaro.
Il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo ha confiscato, ai sensi della normativa antimafia, un ingente patrimonio, costituito da due aziende agricole e di allevamento, numerosi terreni coltivati a vigneti e disponibilità finanziare, per un valore complessivo di oltre 4 milioni di euro, in esecuzione di un provvedimento del Tribunale di Trapani – Sezione Misure di Prevenzione. Già a maggio del 2012, nell’ambito di un’inchiesta del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trapani, il Gip di Marsala aveva disposto a suo carico il sequestro di due appartamenti e di alcuni terreni agricoli, per omessa segnalazione di variazioni patrimoniali, come previsto dalla normativa antimafia.
Il provvedimento segue al sequestro eseguito dal G.I.C.O. del Nucleo di Polizia Tributaria di Palermo nel febbraio 2014, nel quale era stata riscontrata una palese sproporzione tra i beni oggetto della confisca e le disponibilità reddituali manifestate dal nucleo familiare del soggetto, tali da essere considerati derivanti da attività illecite. Peraltro, gli approfondimenti documentali avevano consentito di riscontrare alcune irregolarità nella gestione di una delle aziende agricole sottoposte alla misura cautelare e nella destinazione di alcuni terreni tenuti a vigneti, che avevano consentito al prevenuto di usufruire indebitamente dei contributi pubblici.
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