Mafia, confisca da 200 milioni a Scinardo Ricchezza costruita all’ombra di Cosa Nostra

In 15 anni da allevatore era diventato un imprenditore con un patrimonio da 200 milioni di euro e interessi diversificati: dall’edilizia, all’agriturismo, dall’eolico al movimento terra. E attività che si estendevano in diverse province siciliane. Ma dietro il suo successo ci sarebbe Cosa Nostra. Sui beni di Mario Giuseppe Scinardo, originario di Capizzi, poi trasferitosi a Militello Val di Catania, legato alla famiglia mafiosa dei Rampulla di Mistretta, è scattata la confisca da parte della Direzione investigativa antimafia dopo la sentenza della Cassazione. Provvedimento che riguarda proprietà, mezzi e aziende tra Catania, Siracusa ed Enna. L’indagine su Scinardo, partita nel 2008, ha fatto emergere le sue amicizie pericolose, con elementi di spicco di Cosa Nostra siciliana. In primo luogo con Sebastiano Rampulla, morto nel 2010, ma fino a quel momento capo della potente mafia mistrettese e fratello di Pietro Rampulla, colui che mise a disposizione e fatto esplodere la bomba per la strage di Capaci in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. I Rampulla, secondo gli inquirenti, sono stati sotto i Santapaola fino agli anni ’90, per poi aumentare la propria autonomia con l’assenso dei La Rocca di Caltagirone. Ma il nome di Scinardo ritorna anche nell’indagine Iblis, sui rapporti tra Cosa Nostra catanese, imprenditori e politica.

Mario Giuseppe Scinardo

La confisca riguarda undici imprese, dedite all’edilizia, alla produzione di calcetruzzo, all’agriturismo e all’energie alternative. Proprio in quest’ultimo ambito, sono emersi anche contatti tra Scinardo e Vito Nicastri, il signore del vento di Trapani, ritenuto dagli investigatori vicino al latitante Matteo Messina Denaro e colpito da un maxi sequestro da un miliardo di euro. I due avrebbero collaborato per il progetto del parco eolico di Vizzini. In proposito, durante una delle udienze di Iblis, il pubblico ministero Antonino Fanara ricorda che in un pizzino, i Lo Piccolo di Palermo ordinavano di continuare a lavorare con Scinardo. Ancora nel processo su Cosa Nostra catanese, il colonnello Gaetano Scillia, dal 2004 al 2010 alla direzione della Direzione investigativa antimafia di Messina e attuale dirigente della Dia di Caltanissetta, ricostruisce le relazioni con il re dell’eolico. «Scinardo e Nicastri erano soci nella costruzione del parco eolico di Vizzini», racconta Scillia. La società Callari, riconducibile a Scinardo, tra il 2005 e il 2006 riceve dalla Regione un contributo a fondo perduto di 3milioni 280mila euro per la costruzione del parco. Il 20 giugno del 2006 arrivano anche le autorizzazioni richieste. «Otto giorni dopo – spiega il colonnello – la Callari srl viene acquisita dalla società Lunix, costituita proprio il 20 giugno, con sede in Lussemburgo, di cui uno dei soci è Nicastri».

Oltre alle imprese, passano sotto il controllo dello Stato anche 229 immobili sparsi tra le province di Catania, Siracusa ed Enna; 90 mezzi, tra camion, escavatori, trattori, mezzi agricoli e macchine di grossa cilindrata; undici capannoni agricoli; 61 silos; 60 rapporti finanziari e diversi capi di bestiame. «Un’anomala escalation patrimoniale ed imprenditoriale, ingiustificata dai redditi dichiarati da Scinardo e dal suo nucleo familiare», sottolineano gli investigatori della Dia.

E’ lungo l’elenco di indagini in cui Scinardo è finito negli anni. L’ultimo, in ordine di tempo, è proprio il processo Iblis, per cui tra poche settimane arriverà la sentenza di primo grado. I pm Antonino Fanara e Agata Santonocito hanno chiesto per lui 15 anni di carcere con l’accusa di associazione mafiosa. Nella requisitoria i magistrati ricostruiscono la carriera dell’imprenditore di Capizzi. Ed è lui stesso a raccontare l’origine dei rapporti tra la sua famiglia e quella dei Rampulla. Che avrebbe avuto inizio nel momento in cui il padre di Scinardo si sarebbe rivolto alla famiglia di Mistretta dopo un furto di bestiame. Da lì, sottolineano i pm, il rapporto si sarebbe stretto. Lo testimoniano molti elementi: in alcune proprietà di Scinardo, come l’agriturismo di Casale Belmontino, si sono svolti summit mafiosi, alla presenza, tra gli altri di Sebastiano e Vito Rampulla, Pietro Iudicello, Carmelo Bisognano e Carmelo Barbagiovanni. Ed è sempre in uno degli immobili dell’imprenditore che avrebbe passato parte della sua latitanza Umberto Di Fazio, per anni considerato reggente della famiglia Santapaola a Catania, arrestato nel 2005 e diventato collaboratore di giustizia. E’ lo stesso Di Fazio che racconta ai magistrati di essersi fidato di Scinardo proprio su presentazione di Rampulla. In una delle udienze di Iblis, il pm Fanara riporta la frase del pentito: «”È la stessa cosa che siamo noi“, disse Rampulla a Di Fazio. Una formula – sottolinea il magistrato – che, secondo Santo La Causa e Giovanni Brusca, viene usata tra uomini d’onore per presentarne un terzo».

A parlare di Scinardo alle udienze di Iblis, è anche uno dei più importanti teste dell’accusa, il maggiore dei carabinieri Lucio Arcidiacono, che parla delle relazioni catanesi dell’imprenditore, in particolare con Angelo Santapaola, ucciso nel 2007. Omicidio per cui è stato recentemente condannato all’ergastolo il boss Vincenzo Aiello, ritenuto il reggente di Cosa Nostra a Catania. «Una volta all’interno dell’organizzazione si discuteva del problema di alcune somme di denaro consegnate da Scinardo ma non indirizzate verso la bacinella – racconta Arcidiacono ai giudici – In quell’occasione, Aiello e Santapaola si accusavano a vicenda di averle fatte sparire».

Prima di Iblis, Mario Scinardo è stato indagato nell’operazione antimafia Icaro che ha smantellato i clan di Mistretta, Capizzi e Tortorici grazie alla collaborazione del pentito Santo Lenzo. Con l’operazione Montagna del 2007 emerse la sua contiguità con la famiglia mafiosa di Mistretta che estendeva la sua influenza sui paesi tirrenici di Capizzi, Caronia, Tortorici, San Fratello, Acquedolci e i comuni limitrofi. Scinardo fu arrestato e rinviato a giudizio, ma assolto nel 2012 dal Tribunale di Patti.

Salvo Catalano

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