«Gli devi dire che sto venendo là e lo scanno, gli devi dire…». A intercettare queste parole di Sebastiano Sardo, Iano occhiolino, sono i carabinieri di Messina. Il 30enne di San Cristoforo ieri ha dovuto fare i conti con due ordinanze di custodia cautelare: la prima emessa dai magistrati di Catania, e la seconda dai colleghi dello Stretto. In entrambi i casi, per gli investigatori il suo è un ruolo di vertice. Tanto che nel capoluogo etneo il nome dell’operazione, Wink, ammicca a quell’«occhiolino» con cui Sardo è noto in via Alonzo e Consoli. La strada in cui vive e in cui sarebbe stato – in base alle indagini catanesi – il gestore dello spaccio per conto dei Carateddi, l’ala militare del clan Cappello-Bonaccorsi.
E se il dirigente della squadra mobile lo chiama «l’Andrea Nizza della cosca», la procura peloritana lo definisce «un punto di riferimento a Catania, ma anche in Calabria». È il giudice messinese che, pur non indagando sull’associazione mafiosa – su cui invece si concentrano i colleghi di Catania – lo ritiene «un valido esponente» della criminalità organizzata. Capelli rasati e sopracciglia curate, nelle carte dell’inchiesta Doppia sponda c’è la sua capacità di mantenere rapporti di amicizia coi messinesi. E, in particolare, con Maurizio Calabrò, finito in manette ieri anche lui, talmente legato a Sebastiano Sardo da essersene tatuato il nome sull’avambraccio destro. «Tu e io siamo la stessa cosa», conferma Sardo a Calabrò. I due si parlano dalla finestra: Calabrò usa quella dell’infermeria del carcere di Messina, mentre Sardo lo ascolta – e gli risponde urlando – direttamente dalla strada.
Ed è durante un periodo di detenzione dell’amico Maurizio, nel 2014, che secondo gli investigatori Sebastiano Sardo dimostra la sua fede nell’amicizia. Soprattutto dopo avere ricevuto una lettera in cui Calabrò, dalla galera, gli confida le sue frustrazioni. La reazione è immediata. «Oggi a te, a tuo fratello… Ve ne potete scappare da là. Oggi t’ammazzo, non hai capito? Appena non vieni con suo fratello t’ammazzo. Oggi vi ammazzo a tutti, non l’avete capito? Siete tutti direttamente pezzi di merda, non pagate nemmeno le spese dell’avvocato», s’infuria Sardo coi parenti di Calabrò, prima di mettere mano personalmente al portafogli. «Prende 350 euro, anche quelli miei, che sono i miei, e glieli dà», lo ascoltano dire i carabinieri. Una spesa che dovrebbe servire a pagare il passaggio di proprietà di una macchina regalata alla fidanzata dell’amico fraterno rinchiuso nel penitenziario.
«Il più esperto», lo chiamano i magistrati di Messina. Che sono costretti a riconoscerlo dalla voce al telefono, dallo «spiccato accento catanese», o dal confronto delle immagini delle telecamere nascoste con le foto segnaletiche. Perché le chiamate in cui ritengono, «assolutamente per certo», di averlo ascoltato sono effettuate da numeri registrati a cittadini perlopiù extracomunitari. Alle volte, però, a riconoscerlo sono i carabinieri ma non il suo interlocutore: «Ma chi sei?», gli domanda un uomo. «Minchia, chi sono, ora vengo là… Ma che mi stai pigliando per il culo?». «Ma chi sei?», ribadisce l’altro. «Ma chi sono?», è la risposta. Uno scambio di battute che si ripete, uguale, per quattro volte. Finché l’altro non riconosce Sardo al capo della cornetta (senza mai farne il nome) e l’uomo identificato dai carabinieri in Sardo, irritato, conclude: «Mi sto direttamente impazzendo».
In mezzo a tutto questo, poi, ci sono i soldi. Secondo i magistrati di Messina, Sebastiano Sardo avrebbe fornito la droga in conto vendita. Una partita, però, sarebbe andata smarrita e il suo valore, circa diecimila euro, avrebbe dovuto essere restituito. Ma Santino Calabrò, fratello di Maurizio, i soldi non li avrebbe avuti e si sarebbe dato alla macchia. A suo cognato, Sardo dice: «Digli che sto venendo e lo scanno… Lui si è fatto avanti e lui ora se la deve vedere». In un altro caso, invece, la replica più che violenta è stupita. È novembre 2013 e, scrivono i giudici, si tratta ancora di una partita di droga e di un debitore fuggito. L’intermediario che tenta di fare da pacificatore riporta a Iano occhiolino: «Mi ha detto: “Se vuole gli posso dare la mia macchina, investita”». All’altro capo del telefono c’è un attimo di silenzio. «A posto – risponde poi Sebastiano Sardo – Ora lo so io cosa devo fare. A posto».
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