Il primario Paolo Scollo, cinque dirigenti medici e un anestesista. Sono accusati dai pm etnei per la morte di Valentina Milluzzo, la 32enne deceduta in ospedale nel 2016. La decisione della giudice Giuseppina Montuori è arrivata dopo l'udienza di questa mattina
Madre e figli morti al Cannizzaro, in sette a processo Nell’inchiesta ipotesi di concorso in omicidio colposo
La giudice Giuseppina Montuori ha rinviato a giudizio sette camici bianchi dell’ospedale Cannizzaro. Accusati di concorso in omicidio colposo per la morte di Valentina Milluzzo. La donna di Palagonia deceduta il 15 ottobre 2016 poche ore dopo i due gemelli che da cinque mesi portava in grembo. L’epilogo della lunga giornata trascorsa al palazzo di giustizia di piazza Giovanni Verga è arrivato dopo le 16, quando la giudice ha dato lettura del dispositivo. A metà mattinata l’udienza, a porte chiuse, era cominciata con le dichiarazioni spontanee di Paolo Scollo, primario di Ginecologia nel nosocomio etneo finito tra gli indagati in questa vicenda. Il medico originario di Caltagirone, che da quasi trent’anni presta servizio al Cannizzaro, ha ripercorso alcuni passaggi del caso Milluzzo. Dopo di lui è toccato agli avvocati difensori. Tutti concordi nella richiesta «di non luogo a procedere» nei confronti dei loro assistiti. Oltre a Scollo finiscono a processo cinque dirigenti medici: Silvia Campione, Giuseppe Calvo, Alessandra Coffaro, Andrea Benedetto Di Stefano e Vincenzo Filippello. Con loro l’anestesista Francesco Cavallaro. Parte civile la sorella della vittima: Angela Maria Milluzzo, assistita dall’avvocato Salvatore Catania Milluzzo.
Il calvario di Valentina era cominciato il 29 settembre 2016. Giorno in cui la 32enne, impiegata di banca, era stata ricoverata al Cannizzaro per una presunta dilatazione anticipata dell’utero. Il primo aborto spontaneo si verifica la notte del 14 ottobre, alle 23.30. Il secondo all’1.40 di domenica. La donna muore qualche ora dopo, nel pomeriggio del 15 ottobre. Il tutto dopo essere stata trasferita d’urgenza, considerata la gravità del suo quadro clinico, nel reparto di Rianimazione del Cannizzaro. Secondo quanto riferito dai medici, alla base delle morte ci sarebbe stata una «sepsi con crisi emorragica dovuta a un’infezione». Particolare che, secondo i magistrati titolari dell’inchiesta, i pm Fabio Saponara e Martina Bonfiglio, non sarebbe stato adeguatamente riconosciuto dall’equipe medica che aveva in cura la donna. A questo sarebbe collegata una seconda presunta omissione dei camici bianchi, ovvero la mancata raccolta dei campioni per cercare di ridurre la setticemia.
Altro aspetto è quello che riguarda la presunta «mancata rimozione di feti e placenta e la mancata somministrazione di globuli rossi». Un lungo elenco di sospette negligenze su cui pesa anche la questione dell’obiezione di coscienza. I familiari della 32enne avevano inserito nell’esposto presentato ai carabinieri anche una frase che sarebbe stata pronunciata da un medico e che il padre della donna giura di avere sentito: «Sono un obiettore. Fino a che è vivo io non intervengo». Ipotesi, quest’ultima, sempre smentita dai vertici del Cannizzarro, anche attraverso una conferenza stampa convocata dopo che MeridioNews aveva reso pubblica la notizia della morte della donna e dei due gemelli che portava in grembo. La tesi dell’obiezione di coscienza era stata accantonata anche dai funzionari inviati dal ministero della Sanità e coordinati dal professore Francesco Enrichens.