Madinat Catania“, della bellezza e della banalità

Angelo Pulichino è un trentenne tecnico di microelettronica appassionato di scrittura. Nel tempo libero ama girare tra le strade della sua città e così, stanco della monotonia del suo lavoro, ha deciso di raccontarla, sfidando se stesso. «Quest’opera è nata quasi per scherzo, come un gioco. Ed ancora quasi mi vergogno se devo confrontarla con le grandi opere, con i capolavori. Ho cominciato a scrivere a otto anni, non avendo però l’idea di diventare uno scrittore. Solo negli ultimi anni ho cominciato la stesura di un romanzo e durante una pausa di riflessione è nato ‘Madinat Catania’».

L’opera non è unitaria, ma si compone di sette diversi testi, tutti ambientati a Catania, ciascuno con un titolo proprio. «Il libro – spiega Pulichino – comprende cinque racconti, ognuno di essi porta il titolo del personaggio protagonista e del luogo in cui si svolge la storia. Inoltre sono presenti altri due brevi testi, uno in apertura ed uno a chiusura. I loro titoli sono due date chiave per la città e per me. Il 1693, anno del terremoto che ha segnato e stravolto la città, e il 2009, anno di pubblicazione del libro».

Ogni singolo personaggio, ogni singola storia, sono una piccola parte di una città e della sua storia. Per l’autore non è stato facile trovare un titolo che amalgamasse tutto. «Questa serie di racconti ha rischiato di uscire con un altro titolo, che non mi piaceva. In realtà io consegnai senza titolo l’opera agli editori e per scongiurare la loro scelta ho fatto un piccolo sforzo. ‘Madinat Catania’ è un termine arabo che letteralmente significa ‘la città di Catania’. La motivazione di questo omaggio alla cultura araba è giustificata dall’influenza che essa ha avuto su di noi, in fondo sono i nostri padri. Per questo trovo ridicole le manifestazioni di razzismo rivolte contro di loro».

Pulichino definisce Catania come la città senza eroi. Pertanto, i suoi ritratti delineano delle persone comuni, banali. «La scelta dei personaggi è stata mirata. Ho escluso a priori i più estremi, focalizzando solo quelli che giornalmente vedo attorno a me. Come artisti, studenti o semplici cittadini, ma anche spacciatori o criminali, che caratterizzano la nostra città. Li ho osservati dall’alto, narrando dei perdenti, che con difficoltà possono piacere al lettore. Simulano una vita costruita, basata sulla bugia e sulla finzione. Solo dopo un imprevisto buttano giù la maschera per mostrare ciò che sono veramente, persone squallide, a volte fuori dalla legge».
I personaggi sono dunque i protagonisti principali dei racconti, il primo elemento da focalizzare secondo lo scrittore catanese. Attorno ad essi può essere costruita la trama di ogni vicenda. «Dopo aver scelto i personaggi sono passato alle storie. Sono interamente inventate ma non posso assicurare che non siano già accadute, stiano accadendo o accadranno in futuro. Questo perché sono volutamente storie banali, proprio come i loro stessi protagonisti».

Ogni catanese che si rispetti ama la sua città, visceralmente, anche se spesso è costretto a lasciarla. Pulichino non è da meno, dichiarando apertamente il suo amore per alcuni scorci del capoluogo etneo: «Se i personaggi e le storie sono banali, lo stesso non vale per i luoghi. Ciò che racconto di Catania, anche minuziosamente, è qualcosa di molto importante, di stupendo, come il pozzo di Gammazita o alcuni luoghi dei Benedettini. Nell’opera, tra personaggi, storie e ambientazioni, si crea un forte contrasto che denuncia l’abbandono in cui spesso versano questi splendidi posti». Questi, come tanti altri, sono spesso tristemente lasciati allo sbando. Non solo per colpa dell’amministrazione comunale, ma soprattutto per la noncuranza dei catanesi che non richiedono a gran voce una loro rivalutazione. «Il catanese – continua Pulichino – ha completamente abbandonato la sua città. Io ne ho esaltato la bellezza, che risplende nonostante si parla di un grosso potenziale sprecato. Anche i protagonisti delle storie non si accorgono pienamente di ciò che hanno intorno. È la conseguenza degli stereotipi che attanagliano i miei concittadini. Ci sono troppi cliché e troppi gruppi. Stiamo perdendo la personalità del singolo».


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