Raddoppiato il numero degli immigrati rispetto a 10 anni fa. Le comunità romene hanno scalzato quelle filippine e cinesi
L’Italia, un Paese di anziani, pochi figli e divorzi in aumento
ROMA – L’Italia è un Paese di anziani, in cui si fanno pochissimi figli. Separazioni e divorzi aumentano a ritmi elevati, così come le “famiglie ricostituite”, quelle cioè in cui uno dei due coniugi ha alle spalle un’unione fallita. Questa la fotografia della realtà italiana scattata dal rapporto annuale dell’Istat: l’indice di vecchiaia più alto al mondo, la popolazione più anziana dell’Unione europea e il tasso di fecondità tra i più bassi in assoluto.
Una situazione che produce un “debito demografico” non indifferente in termini di previdenza, assistenza e spesa sanitaria nei confronti delle generazioni future. A consegnare il dominio agli ultra sessantacinquenni, oltre a una speranza di vita che cresce costantemente, è il basso tasso di fecondità, altro fenomeno che caratterizza l’Italia degli ultimi anni.
Invecchiamento della popolazione. Secondo il rapporto, nel 2002 la speranza di vita in Italia era di 76,8 anni per gli uomini e di 82,9 per le donne. Numeri, in entrambi i casi, di un anno superiori alla media europea. E proprio nell’Unione, l’Italia ha un triste primato: quello del Paese con la popolazione più anziana, percentuale che continua a salire tanto che a gennaio di quest’anno un italiano su cinque (il 19 per cento) aveva 65 anni e più. Inoltre, aumentano gli anziani che hanno più di ottant’anni: ormai sono uno ogni venti.
Vivere di più, per le donne, non significa però vivere meglio: una donna trascorre mediamente il 60 per cento della propria vita in “buona salute”, contro il 70 per cento dell’uomo. Questi ultimi contraggono con maggiore frequenza malattie che portano alla morte, mentre le donne più spesso sono colpite da patologie che nel lungo periodo degenerano in situazioni invalidanti, come l’artrosi, l’osteoporosi e l’ipertensione arteriosa.
Matrimoni, separazioni e divorzi. La famiglia fondata sul matrimonio è ancora una “istituzione”, ma divorzi e separazioni sono in aumento. Secondo il rapporto dell’Istat nel 2000 sono state 72.000 le separazioni e 37.000 i divorzi con un aumento rispetto al ’95 del 37,5 per cento e del 39 per cento. In pratica si registra una separazione ogni quattro matrimoni e un divorzio ogni nove.
Quasi il 70 per cento delle separazioni e il 60 per cento dei divorzi coinvolge inoltre figli nati nel matrimonio: l’85 per cento di questi bambini viene affidato alla madre. Da considerare, infine, che nel 2000 in Italia si sono registrati ventimila matrimoni con almeno un coniuge straniero.
Famiglia. Sono 22 milioni le famiglie regolari (dato relativo al 2001), due milioni in più rispetto all’88, ma le coppie con figli passano dal 52,1 per cento dell’88 al 44,5 per cento. Il numero di componenti della famiglia, scende da 2,9 a 2,6 e aumentano le famiglie di single, che passano dal 19,3 al 23,9 per cento, le coppie senza figli (che passano dal 18,6 per cento al 19,9 per cento) e le famiglie con un solo genitore (dal 7,3 al 8,4 per cento). Il novanta per cento dei figli, inoltre, viene concepito all’interno del matrimonio, a fronte del 70 per cento della media europea.
E quello dei figli è un problema non indifferente per l’Italia: nonostante vi sia un miglioramento rispetto al ’95, il tasso di fecondità rimane basso, con 1,26 figli a donna, rispetto alla media europea di 1,47. La crescita riguarda soprattutto il nord e il centro mentre al sud continua la diminuzione. Aumentata anche l’età media in cui si fanno figli, il che significa averne di meno: si è passati dai 24,8 anni di media per le donne nate nel ’53, a 26,5 per quelle nate nel ’63. Le generazioni più recenti hanno invece il primo figlio dopo i 27 anni.
Il rapporto evidenzia anche l’aumento delle “famiglie ricostituite”: 622 mila nel 2001 (il 4,3 per cento del totale). In genere questo tipo di famiglie scelgono le unioni di fatto come formula di convivenza: rispetto al ’93 queste unioni sono passate nel 2001 dal 25 al 39 per cento.
Immigrazione. Cambia volto, abbandonando la connotazione individuale per diventare sempre più un fenomeno che riguarda tutta la famiglia. Ma, soprattutto, rappresenta “un’indispensabile risorsa per contribuire alla crescita della popolazione residente”.
Il rapporto annuale dell’Istat, nella parte dedicata agli stranieri, prende atto di una realtà profondamente cambiata negli ultimi dieci anni. Al primo gennaio del 2002, la popolazione straniera con regolare permesso di soggiorno era di un milione e 448 mila unità, il doppio rispetto a dieci anni fa. Anche i luoghi di provenienza contribuiscono a dare al fenomeno una nuova connotazione, con quelli dai paesi dell’est che hanno scalzato presenze storicamente più forti, come le comunità filippina e cinese.
Dagli ex paesi del blocco sovietico arriva una delle principali novità: la comunità romena ha superato quella filippina, da sempre una delle più nutrite. Addirittura, tra il ’99 e il 2000 gli ingressi dalla Romania sono aumentati dell’ottanta per cento. Al primo posto rimane comunque la comunità marocchina, con 167.889 permessi di soggiorno concessi al 1 gennaio del 2002, seguita dall’Albania (159.317), dalla Romania (82.985), dalle Filippine (67.711) e dalla Cina (62.146).
Migrazioni interne. Tra gli altri fenomeni segnalati dall’Istat c’è il ritorno, a distanza di trent’anni, delle migrazioni interne, anche se con caratteristiche e modalità differenti. Le mete più ambite, dice il rapporto, non sono più Milano, Torino e Genova, bensì il nord-est, patria delle piccole e medie imprese e motore dell’economia italiana, e il centro: dal ’96 al 2000 gli spostamenti dal Mezzogiorno in queste due aree del paese hanno visto un incremento del 45 per cento.
Ma il rapporto indica anche che è tutta l’Italia che sta vivendo una migrazione interna. Nel 2000 i trasferimenti di residenza sono stati oltre un milione e 270 mila, il 22 per cento in più rispetto al ’91; di questi il 28 per cento riguarda movimenti interregionali di lungo raggio mentre ben il 73 per cento è rappresentato da trasferimenti di breve raggio. In pratica la gente lascia le città per trasferirsi nei comuni che formano la “cinta esterna”, creando di fatto quelle mega aree metropolitane già presenti negli Stati Uniti e negli altri paesi europei. Ecco dunque che Milano, tra il ’96 e il 2000, ha perso 30 mila abitanti e i comuni dell’hinterland ne hanno acquistati 25 mila, Roma ne ha persi 35 mila con la provincia che ne ha acquistati 34 mila.