L’Italia mantiene la Sicilia o è il contrario? Operazione verità (parte seconda)

UN’ANALISI ATTENTA, EFFETTUATA DA UN’ECONOMISTA, RISERVA QUALCHE SORPRESA. ANZI PIU’ DI UNA. CONTINUIAMO A SMENTIRE I LUOGHI COMUNI (QUI LA PRIMA PARTE DELL’INCHIESTA) CON I NUMERI

Abbiamo detto che lo Stato trattiene quasi 11 miliardi anno di tributi raccolti in Sicilia e non devoluti, come prevedrebbe lo Statuto, alla Regione.

Purtroppo la storia non finisce qui. Lo Stato introita dalla Sicilia circa 25 miliardi l’anno di cui quasi 23 da tributi “propri” (diciamo “che considera” propri in modo abusivo, e che poi in piccola parte gira alla Regione).
Gli altri sono “entrate patrimoniali” o “entrate in conto capitale”. Le entrate in conto capitale contano poco, non più di un miliardo l’anno. Le entrate patrimoniali, pari circa a un altro miliardo l’anno, sono dovute per il mancato passaggio del demanio e del patrimonio dallo Stato alla Regione, contrariamente a quanto previsto dagli articoli 32 e 33 dello Statuto. Lo Stato trattiene il patrimonio, e quindi le entrate.

Mi riservo di tornare su questo punto, perché una parte di queste entrate patrimoniali va cercata nel settore pubblico allargato, come Terna che ci fa pagare per i “nostri” elettrodotti, e cose simili. Oppure nel gettito delle piattaforme offshore, royalties più tasse, che sono considerate “esterne” alla Sicilia. Conto difficile, allo stato, ma da cui è certo che lo Stato trattiene indebitamente circa 2 miliardi di euro l’anno che, se lo Statuto fosse rispettato, o a fortiori se la Sicilia fosse stato indipendente, tratterremmo senza tanti problemi.

Anzi, a ben vedere, lo Stato italiano dovrebbe addirittura pagare per le tante infrastrutture che passano dalla Sicilia e che servono alla Penisola, dalle fibre ottiche al metanodotto, e che invece oggi, legittimamente, sono considerate demanio statale.
Il dato che invece non ho trovato disaggregato è quello delle “altre” imposte indirette. Sono pari a 5 miliardi l’anno, compreso circa un miliardo di entrate da giochi e scommesse. Di chi sono? Secondo lo Statuto, quelle di produzione e quelle da scommesse (veramente si parla solo di “Lotto”, comunque…) dovrebbero essere dello Stato, fatto salvo il diritto di compartecipazione della Regione, ai sensi dell’art. 119 Cost., quando questa si faccia carico di funzioni statali. E quindi, a ben vedere, siccome lo Stato si dovrebbe occupare in Sicilia solo di difesa e delegare tutto il resto alla Regione, e siccome la difesa non costa più di un miliardo l’anno, comprese le imputazioni alla Sicilia delle missioni all’estero di cui nulla ci importerebbe, potremmo benissimo rivendicare la compartecipazione di tutto il resto. Poi, correttamente, tutto ciò che non è imposta “di produzione”, ma “di consumo”, come le accise “alla pompa”, o le imposte sul consumo di energia che troviamo in bolletta, dovrebbero essere tutte regionalizzate all’origine.
Non troviamo nei CPT questa distinzione. Tuttavia, tenendo conto delle spese militari che abbiamo detto, la Regione potrebbe vantare altri 4 miliardi di entrate l’anno.
È venuto il momento di fare il conto di quante entrate perde ogni anno la Sicilia per la mancata applicazione dello Statuto.
Quasi 11 miliardi di imposte dirette e IVA non girate alla Regione o agli enti locali.
Poco più di un miliardo (voglio stare molto basso) di gettito IRES di imprese non residenti (art. 37).
Circa 4 miliardi di altre imposte indirette illegittimamente trattenute dallo Stato o di mancate compartecipazioni ai tributi erariali residui.
Circa 2 miliardi di entrate patrimoniali e simili.
Siamo arrivati a circa 19 miliardi. E non abbiamo parlato ancora di Fondo di Solidarietà Nazionale (art. 38). In realtà non ne abbiamo più voglia. 19 miliardi l’anno sembrerebbero già sufficienti.
Ma, a questo punto, c’è l’altra faccia della medaglia.
Ammettiamo, per pura ipotesi, che lo Stato acconsenta a lasciarci i nostri tributi.
Giustamente pretenderebbe di tagliare i “trasferimenti” a Regione ed Enti Locali. E così pretenderebbe di trasferire alla Regione e agli Enti Locali le funzioni che ancora svolge per noi.
E qui che il pregiudizio dei media nazionali è più forte. Vi spediamo “camion” di soldi, trattenete il 100 % (abbiamo visto che non è vero). Ma come fareste a vivere da soli?
E allora andiamo a vedere questi “camion” che arrivano dal Continente. Fonte? Sempre la stessa: Conti Pubblici Territoriali.
Anche depurando le spese dai conti previdenziali, i CPT ci danno circa 17 miliardi di spesa statale nell’Isola, 14 miliardi di spesa regionale e nemmeno 6 miliardi di spesa degli enti locali (poveretti! L’ultima ruota del carro).
Detta così sembrerebbe ancora che lo Stato fa molto per noi. Ma, a guardare da vicino, al solito si trovano molte sorprese, sulla cosiddetta spesa pubblica statale.
Intanto 4 dei 17 miliardi sono dati da spesa in conto capitale. Questa, vista ancor più da vicino, non è che una partita contabile. Si tratta infatti quasi tutta di “concessioni di crediti”, “partecipazioni azionarie”, cioè di partite con le quali non si trasferisce definitivamente ricchezza dallo Stato alla Regione, ma, dal punto di vista economico, si rafforza soltanto la presenza dello Stato in Sicilia. Le vere spese in conto capitale (investimenti più trasferimenti in conto capitale) ammontano a un miliardo l’anno. Questo è quello che l’Italia ci dà per la perequazione infrastrutturale, niente di più, ed è una cifra molto lontana da quanto previsto dall’art. 38. Ma – ripeto – forse sarebbe meglio non volere più niente dall’Italia.
A questo miliardo di spese in conto capitale si aggiungono, in teoria, 13 miliardi di spese correnti. Vediamo anche queste più da vicino e scopriamo altri artifici contabili.
3 miliardi e mezzo sono rettifiche di entrate che lo Stato ha a livello centrale e che, non sapendo come ripartirle, nei CPT sono attribuite alle Regione in proporzione alla popolazione. Non sono quindi vere spese. Se non facessimo parte dell’Italia questa posta non esisterebbe. È una pura partita contabile. Un altro mezzo miliardo l’anno sono spese centrali non attribuibili per Regione, come quella per le rappresentanze estere. Le dobbiamo contare come spesa in Sicilia? Ho qualche dubbio al riguardo. Anche queste sarebbero facilmente rimpiazzate da risorse proprie della Regione se non facessimo parte dell’Italia. Dentro c’è, tanto per capirci, anche il costo degli organi centrali dello Stato: lo stipendio del Presidente della Repubblica, il mantenimento di Camera e Senato. Lavorano anche per noi, si dirà,… mah! Lasciatemi la perplessità.
Un altro miliardo è la rateizzazione per la Sicilia degli interessi sul debito pubblico italiano. Mi verrebbe da dire che anche questi non sono fatti nostri. Capisco, facciamo parte dell’Italia e ci accolliamo parte del debito pubblico dello Stato. Ma finora questi NON SONO soldi spesi in Sicilia. Intendiamoci!
Sono rimasti circa 8 miliardi! Circa un miliardo per la difesa, circa 2 per interni e giustizia, circa 3 per istruzione e università, e il resto per non meglio specificate spese di assistenza, beneficenza e varie. Fine della storia. Punto e basta!
Questo è quello che lo Stato spende realmente per noi, oltre ai trasferimenti a Regione ed Enti locali. Questi trasferimenti sono pari a 3,5 miliardi circa per la Regione (di cui più di 2 solo per la Sanità e poche altre bagatelle) e a 2 circa per i Comuni e gli altri enti locali. In tutto lo Stato ci “regala” 13,5 miliardi, molti dei quali potrebbe chiedere indietro.
19 – 13,5 siamo comunque a circa 5,5 miliardi e mezzo l’anno di trasferimenti netti dalla Sicilia all’Italia, per il piacere di essere cittadini italiani ed europei e di farci disprezzare, sputare in faccia e sfruttare ogni giorno. E tutti i conti sono stati fatti con la massima prudenza… E tutto è computato a bocce ferme… Cioè con l’economia ferma che abbiamo, con la disoccupazione fuori controllo che abbiamo, insomma con una capacità produttiva tenuta all’elettroencefalogramma piatto della morte. Con una manovra del tutto autonoma degli strumenti di politica economica, la musica sarebbe ben diversa.
E avremmo finito questa lenta agonia.
Ma non con una classe politica di traditori, traffichini, psicologicamente subalterni, e professionalmente incompetenti. Con una classe politica e dirigente rinnovata sì, questi sono i primi numeri e certamente con questi potremmo creare un futuro per i nostri figli.


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