Fino al 21 dicembre la mostra Al di là del mare, presentata giovedì con un incontro sugli scrittori di madrelingua non italiana. Per Mariagiovanna Italia, i disegni esposti rivelano che si è fermi «all’urgenza di testimoniare il viaggio e al bisogno di essere accettati dal Paese ospitante»
Linguaggi migranti in mostra al cortile Platamone Disegni e letteratura per la giornata internazionale
Sagome umane, rigide come il legno in cui sono ritagliate, dipinte come fossero annegate nelle venature del mare. E disegni, pieni di imbarcazioni, di crocefissi e dell’urgenza di essere accettati. Restano in mostra al Cortile Platamone fino al 21 dicembre; li hanno realizzati, nell’ambito di un workshop, i minori ospiti della comunità Horizont di Caltagirone. È il loro modo di dire che sono sopravvissuti alla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Le opere dei trentotto eritrei ci invitano a guardare al migrante in un’ottica insolita, che li identifica solo come potenziali soggetti d’espressione artistica, e sono scritte in una lingua che non richiede nessun certificato di conoscenza. Ma giovedì, in occasione della Giornata internazionale del migrante, hanno fatto da sfondo ad un incontro sugli stranieri che diventano persino scrittori in lingua italiana: cioè sulla cosiddetta letteratura della migrazione.
«La mostra Al di là del mare è il risultato di una nuova e auspicabile modalità di accoglienza, quella della comunità», afferma Mariagiovanna Italia, membro di Arci Catania e italianista, che dal 2009 si occupa di autori contemporanei di madrelingua non italiana. «Ma questi disegni – continua – nascono ancora dall’urgenza di testimoniare l’esperienza di viaggio o di approdo, denunciano un bisogno di essere accettati dalla società ospitante». Emblematico, in merito all’ultimo punto, il minore che al momento di usare i colori si premura di rassicurare che «Italian is good». Uno stadio, dunque, fermo alla necessità di sottolineare che si è stranieri, ma a quanto pare superato sul versante della produzione letteraria.
Di letteratura della migrazione, infatti, si comincia a parlare nei primi anni ’90, e inizialmente «si tratta perlopiù di resoconti di scarso valore, – racconta Italia – stesi a quattro mani da migranti e giornalisti italiani che li supportano dal punto di vista linguistico». Con gli anni zero cambia qualcosa, e gli stranieri iniziano a scrivere di loro pugno, ma i contenuti sono sempre ancorati ai «soliti temi del viaggio, dell’approdo, dell’integrazione, dell’essere straniero. Bastano alcuni titoli: Immigrato, Lontano da Mogadiscio, Io venditore di elefanti».
Negli ultimi anni, invece, si assisterebbe ad un radicale cambiamento: «la cosiddetta letteratura della migrazione si è staccata dall’urgenza della testimonianza, – spiega l’italianista – gli scrittori stranieri non si preoccupano più del fatto di essere “immigrati” (c’è anche il fenomeno delle seconde generazioni), ma piuttosto delle forme e delle soluzioni linguistiche con cui raccontare». È, infatti, la stessa idea di “madrepatria” ad essere entrata in crisi: e così, una scrittrice somala come Ali Farah, può rendersi conto che «essere, potevi essere ovunque. Per me, per noi tutti, era indifferente».
Il V Bollettino di Basili, banca dati degli scrittori immigrati in lingua italiana aggiornata al 2012, parla di 471 autori – di cui 270 donne -, in misura maggiore provenienti da Albania, Iran, Marocco e Brasile. Un fenomeno ancora poco studiato in Italia, di cui – a leggere la stessa fonte – ci si occupa prevalentemente alla Sapienza e alla Ca’ Foscari , con qualche ricerca svolta nelle università di Palermo e Catania.