«L’informazione? La vogliamo con il bollino»

Internet non è un gioco da ragazzi. E chi cerca informazione in rete punta ancora sulla qualità, meglio se riconoscibile, magari con un bollino. Ecco i risultati principali della ricerca condotta dal professore Enrico Finzi, presidente di AstraRicerche, e commissionata dall’Ordine dei Giornalisti Lombardia. Lo studio è stato presentato giovedì nell’aula magna affollata dell’università Statale di Milano, in un dibattito sul futuro del giornalismo con dieci relatori, provenienti dai diversi mezzi di informazione, e mille partecipanti.
Un’occasione per tirare fuori le idee” secondo Venanzio Postiglione, caporedattore centrale del Corriere della Sera, ma anche “una seduta spiritica sulla nostra stessa fine” per il meno ottimista – e polemico – Michele Mezza, vicedirettore di Rai International.
 
805 gli intervistati via Internet, dai 15 ai 55 anni. Molte le sorprese: i maggiori utilizzatori della rete non sono più solo giovanissimi, ma hanno dai 35 ai 55 anni. Le donne e le aree meno ricche del Paese sono ormai alla pari. Unica differenza, l’istruzione: un terzo degli utenti è infatti laureato, mentre il 60% ha almeno il diploma.
Ma come e dove la gente preferisce informarsi? Internet, ovviamente. A seguire, televisione, radio e notizie via sms sul cellulare. La carta stampata è più giù in classifica. “Internet non è però un nemico totale” ricorda il professore Finzi “integra il consumo di altri mezzi, non lo riduce”. Come a dire, c’è speranza per tutti.
E che tipo di notizie cercano i lettori? Serie, chiare e precise prima di tutto, ma anche aggiornate e libere. In testa stanno quindi le caratteristiche della stampa tradizionale, per le quali il 20,7% sarebbe anche disposto a pagare. Poco, s’intende. Secondo la ricerca, già 2,3 milioni di italiani sborsano qualcosa – di tanto in tanto – per avere notizie, mentre 700 mila sarebbero regolarmente abbonati a servizi di news. “La quantità gratuita genera una domanda selettiva di qualità” chiarisce il professore Finzi. È così che si spiega come il 47% degli intervistati dica di credere ancora nel ruolo dei giornalisti anche sul web, ritenuti più chiari e affidabili.
Risultati che non hanno convinto proprio tutti.
 
I giornalisti di professione sembrerebbero quindi ancora necessari, ma costretti a evolversi. Come? “L’integrazione è la ricetta intelligente, inseguire Internet è un suicidio” è il commento di Mario Calabresi, direttore de La Stampa. Per quanto riguarda i giornali, si dovrebbe puntare sulla spiegazione dei fatti, l’approfondimento, mentre in rete continueranno a dominare le singole notizie. Ma gratis, perché “è inutile pensare di far pagare la gente se chiunque può copiare i tuoi contenuti”. Ferma l’attenzione sul tema del diritto d’autore Marco Pratellesi, caporedattore del sito online del Corriere della Sera. Un problema che preoccupa gli editori, rappresentati nel dibattito da Carlo Malinconico, presidente della Federazione Italiana Editori di Giornali.
Preoccupazioni e lamentele inutili, secondo Luca De Biase, caporedattore di Nòva 24: “L’editoria deve prima dimostrare di essere di qualità per venire considerata in rete. Pensiamo intanto ad innovare”. Stare al passo con contenuti pensati appositamente per il web, e non semplicemente riversati in un media profondamente diverso, come suggerisce Simona Panseri, rappresentante di Google Italia.
 
E i lettori? Ce li siamo persi per strada. Hanno detto di volere notizie di qualità, scritte bene, possibilmente da professionisti. Però su Internet, dove la concorrenza con i blog e la confusione con il materiale messo in rete da comuni cittadini sono fortissime. La soluzione? Un bollino di qualità, come per la frutta o i vini. Un marchio doc, o meglio OdG, che faccia subito riconoscere al lettore che l’autore della notizia è un giornalista professionista.
Perché l’Ordine dei Giornalisti dà un senso di regolamentazione, anche se deve modernizzarsi”, specifica Letizia Gonzales, presidentessa dell’Ordine regionale di Lombardia. “L’appartenenza significa ancora qualità ed etica”. Anche se non paga.


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