L’infinito cinismo di Bugo

Stiamo tornando in auto da Torino dopo le riprese del video di C’è crisi. Si sente il bip-bip di un sms: «”Sono la mamma”», legge Bugo ad alta voce, «”hanno mandato la tua canzone su Radio Deejay”: non vi dico come ha scritto “dj”», sorride. «Come sono contenti i genitori per ‘ste cose», dice mentre le risponde. Sentimento westernato, La prima gratta, Dal lofai al cisei, album dai titoli pazzi che contengono i lucidi deliri di un cantautore allegramente depresso: Cristian Bugatti, in arte Bugo.

Con i suoi primi dischi ha fatto innamorare i raffinati ricercatori di arte insolita, che insieme a lui spesso amavano Ovo, Wolfango e Allun, un mondo sommerso e in parte scomparso, di cui fortunatamente rimangono delle tracce.
Non facciamo i soliti discorsi tipo: sono cresciuto, sono cambiato. Questo mio nuovo disco è molto diverso da Sentimento westernato, ma io non mi ritengo diverso. Non credo nei cambiamenti delle persone: cambia la forma, il messaggio, ma alla fine sono sempre io che scrivo canzoni.

Però non dici più cose pazze… Sarei troppo ridicolo. Voglio provare a scrivere diversamente. Mi interessa propormi come se non fossi mai esistito, non apparire mai come ero prima.

Anche il titolo del nuovo album, Contatti, non ha niente di strano. È una parola molto attuale, che dice tutto e niente. Fa pensare a MySpace, a questa voglia di avere per forza degli amici, che poi sono virtuali. A me manca il vivere in provincia dove avevo i miei amici. Mi piace il brano da cui è tratta quella parola: Nel giro giusto. In quella canzone mi immagino una persona che si lamenta del proprio modo di vivere e dice: “Voglio aprirmi al mondo, dai fammi entrare nel tuo giro”. È una cosa che a me non interessa per niente, però lascio aperto il dubbio, soprattutto ora che esco con un cd prodotto da Stefano Fontana.

Che ha prodotto anche Jovanotti: lui fa parte del giro giusto?
Beh, il mio vecchio produttore, Giorgio Canali, è uno che non fa vita da vip, fa la sua vita di provincia, a Ferrara, mentre Stefano mi dà l’idea di quel mondo lì, Dolce & Gabbana. Mi piaceva confrontarmi con lui, anche se non so quanto possa capire di musica un dj, lui non conosce il cantautorato e forse non gli piace neanche. Però quando risento il mio disco mi sembra veramente fresco.

Come hai iniziato a fare il musicista?
A casa mia non c’è mai stata musica, non vengo da una famiglia di artisti. Un giorno sono andato a vedere le prove di alcuni amici e, dato che non avevano il batterista, mi sono messo a suonare io. Il mio amico Matteo Stella, bisogna sempre dire i nomi, mi ha detto: “Tu hai il ritmo!”, e così ho iniziato. Quando sono partito per il militare, il comandante non mi ha dato uno spazio adatto per suonare la batteria, così gli ho chiesto se potevo suonare la chitarra e ho imparato a usarla. Ho sempre cercato di scappare dal lavoro, non mi ha mai interessato. So che potrei farlo, perché non è detto che farò l’artista tutta la vita, se dovrò lavorare lo farò. Sono stato quattro anni con mio papà in fonderia e ho imparato che la vita è fatta non di sogni ma di altro, non di illusioni ma di conquiste.

In Primitivo dici di essere stufo del benessere…
Sì, l’ho scritta in un periodo in cui volevo togliermi la sensazione di eccesso: volevo ridurre al minimo le parole con la mia ragazza, le cazzate che dicevo a mio papà, le mille cose che avevo in cantina e ritrovare l’essenzialità. Tornare alle origini, all’età della pietra. “Con la mia clava conquisterò tutte le donne che sembrano Jane”, dice il testo: questa frase non vuol dire un cazzo, è il mio lato rock-a-billy.

Love Boat invece sembra una canzone di Lucio Battisti.
Sì, la mia voce è uguale alla sua, me ne rendo conto sempre dopo. Love Boat parla della delusione, del fatto che si ricorda sempre il momento negativo invece di quello positivo. Tutto il disco è fatto così, parla soprattutto di frustrazione, di sconfitte, di delusioni, ma è alleggerito da una musica molto vitale e allegra.

Anche il brano Felicità?
Non c’è niente di felice in questo testo, è un modo di vedere l’amore disilluso. Non credo nelle parole amore, sogno, favola, ai luoghi comuni. Credo nella ragazza che amo, che è diverso.

Sei un po’ cinico?
Sì, non me ne frega niente se c’è crisi. Sono sempre stato individualista, tanti artisti però pensano di svolgere un ruolo sociale. Io non voglio averlo, tutto questo non mi interessa. Il mio brano C’è crisi affronta un argomento serio, ma la canzone non lo è, il messaggio che lancio è molto leggero. Sono il rovescio del rap. Nel disco, però, c’è anche Le buone maniere, una canzone rappata: non avevo una melodia bella, così l’ho fatta tutta dritta, facile. Uno che scrive Sentimento westernato o Dal lofai al cisei secondo te vuole avere un ruolo sociale? Non mi interessa e sai perché? Perché, se la società è questa, cerchiamo di vivere nel modo migliore possibile quello che ci dà. Se possiamo vivere solo con un contratto a tempo determinato, non rompete i coglioni, datevi da fare per fare qualcos’altro. Trovo ipocrita il discorso sul precariato e poi, chi c’è di più precario di me?
 

[Quest’articolo è stato pubblicato su “Repubblica XL”
http://xl.repubblica.it/dettaglio/67921?ref=rephpsp1]

 


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