L’impero di Marchese: sponsor a Verona e quadro del ‘600 I pregiudicati nella holding spariti dal sito dopo il sequestro

Un virtual office in via Montenapoleone, a Milano, e un’opera d’arte realizzata nel Seicento da un allievo di Rubens per incrementare il patrimonio della propria società per azioni. Sono solo due delle mosse di Rosario Marchese per accreditare la propria holding Marchese Group sulla scena imprenditoriale del Nord Italia. Il gruppo, che comprende sette società, è stato sequestrato ieri dagli uomini della Dia di Caltanissetta, che hanno chiesto e ottenuto dal tribunale la misura di prevenzione anche per altre imprese e beni riconducibili a Marchese, per un valore complessivo di oltre 15 milioni di euro.

Dietro l’ascesa dell’uomo, che si è visto notificare il provvedimento alla vigilia del 33esimo compleanno, ci sarebbe l’ombra di Cosa nostra e in particolare dei Rinzivillo, famiglia gelese che si è mostrata capace di investire denaro e condurre affari illeciti ben oltre i confini regionali. Arrivando a Roma e poi più in là, fino ad allacciare rapporti con figure attive in Germania e in Russia, anche grazie – secondo i magistrati capitolini – al contributo di un agente dei servizi. Ma non è direttamente con il boss Salvatore Rinzivillo che Marchese avrebbe avuto rapporti. I legami del 33enne sarebbero stati con soggetti ritenuti contigui al clan, persone alle quali l’uomo tra il 2016 e il 2018 avrebbe fatto arrivare milioni di euro tramite centinaia di operazioni bancarie finite all’attenzione della Direzione investigativa antimafia

D’altra parte, in passato, gli accostamenti di Marchese alla criminalità organizzata non sono mancati: dopo essere stato arrestato nel 2012 per un giro di fatture false, a fine 2013 il suo nome finisce in un’informativa alla procura per i reati di associazione mafiosa, riciclaggio e traffico di droga. Questi sospetti gli valgono, l’estate successiva, la sorveglianza speciale. Pochi mesi dopo, l’allora 28enne è ufficialmente indagato. Passa un altro anno e, a dicembre 2015, poco dopo essere stato arrestato per aver violato gli obblighi della sorveglianza, Marchese viene segnalato per riciclaggio. Infine nel 2018 l’uomo finisce indagato nell’ambito di un’inchiesta su un traffico di stupefacenti, con l’accusa di intestazione fittizia di beni: secondo gli inquirenti, il locale in cui veniva venduta la cocaina sarebbe stato intestato alla moglie Valentina Bellanti.

Quest’ultima vicissitudine giudiziaria – per cui attualmente Marchese e la coniuge sono a processo – raggiunge il 33enne quando già ha fatto ingresso nel mondo imprenditoriale. A partire dal 2017, infatti, Marchese si trova alla guida di società il cui core business tocca i settori più svariati: dalla consulenza finanziaria e aziendale alla fabbricazione di apparecchiature per l’illuminazione, fino all’impegno nel settore delle auto da corsa – con la partecipazione alla Carrera Cup Italia 2018, il campionato monomarca Porsche – e al noleggio di macchine di lusso vicino all’aeroporto di Verona. Proprio in questo scalo, peraltro, l’uomo riesce ad acquisire numerosi spazi pubblicitari nonché a ottenere la sponsorizzazione della sala vip, grazie alla firma di un contratto della durata di due anni. «Le campagne pubblicitarie delle diverse società della holding potranno essere presenti in aeroporto negli spazi più in vista, ottenendo quella che in termini tecnici si chiama domination», si legge in una nota della Marchese Group.

Questo perlomeno fino a ieri sera, quando il sito del gruppo è stato reso inaccessibile al di là della homepage in cui adesso campeggia la scritta coming soon. A sparire ancora prima erano state altre informazioni: si tratta di alcuni dei nomi di chi faceva parte in qualche modo della squadra di Marchese. Dopo la notifica del sequestro, infatti, «la squadra» della holding è stata ridotta da dodici a quattro unità. Tra i nomi cancellati ce ne sono alcuni noti alle forze dell’ordine, in particolar modo per fatti di droga. Si tratta sempre di persone originarie di Gela: è il caso, per esempio, di Alessandro Scilio. Condannato lo scorso ottobre a otto anni e quattro mesi nel processo Tomato, Scilio risultava office assistant di Marchese Group e Automove. Con lo stesso ruolo, ma per le società Overjob Italia e Rosmarc, compariva Danilo Cassisi, coinvolto nell’operazione antidroga Porsche del 2011 e poi prescritto, con la procura che ne aveva chiesto la condanna. Stesso impiego di Cassisi anche per il 34enne pregiudicato Giuseppe Nastasi.

Infine c’è il caso di Roberto Raniolo. L’uomo, 45 anni, nel ’96 fu arrestato insieme a un’altra persona di origini vittoriesi con l’accusa di omicidio. Un fatto avvenuto a San Giuliano Milanese. La vittima, di nazionalità marocchina, sarebbe stato ucciso per conflitti sorti all’interno del mondo della droga.


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