Hanno chiesto il rito abbreviato i boss Nino Madonia e Vincenzo Galatolo, imputati al processo per la morte di Lia Pipitone, uccisa il 23 settembre 1983, durante la messinscena di una rapina all’interno di una sanitaria in via Papa Sergio a Palermo. Il processo a carico di Madonia, capo storico del mandamento mafioso di Resuttana e Galatolo, boss della famiglia dell’Acquasanta, che attualmente collabora con la giustizia, si celebrerà a gennaio. «Un amicidio eclatante» quello di Lia, figlia del boss Antonino Pipitone, secondo quanto raccontato dal pentito Angelo Fontana.
Secondo un altro collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, la cui testimonianza è stata fondamentale per la riapertura del caso, trant’anni dopo, l’omicidio fu una vera esecuzione mafiosa per eliminare una donna rea di intrattenere una relazione extraconiugale, elemento non accettato dalle strette regole di Cosa nostra e causa di forte imbarazzo per il padre della giovane. Secondo Di Carlo, Nino Pipitone «dinnanzi alla resistenza della figlia a cessare una relazione con un ragazzo, aveva deciso di punirla perché il capo mandamento non voleva essere criticato per questa situazione incresciosa». Ammessi come parte civile Calogero e Alessio Cordaro rispettivamente marito e figlio di Lia, che all’epoca dei fatti aveva solo tre anni. I due familiari della vittima sono assistiti dall’avvocato Nino Caleca. Non è stata accolta invece la richiesta di costituzione a parte civile dell’associazione Arcidonna e della onlus Millefiori.
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