Lettere, fuori corso chiamati a rapporto Una studentessa: «Ateneo disorganizzato»

Quando ho ricevuto la email di Salvatore Trovato, presidente del corso di laurea in Lettere dell’università di Catania, non sapevo come reagire. In quel testo, destinato agli studenti fuori corso, con gli altri indirizzi in chiaro, tutto sembrava volermi prendere in giro. A partire dal fatto che il messaggio è arrivato a pochi giorni dalla chiusura della sessione di laurea di aprile, durante la quale gran parte dei miei amici si sono laureati, e io stavo là a guardarli e a pensare «tanto prima o poi toccherà a me». Poi c’era quell’oggetto: «Studenti f.c.». Come a dire: «Ce l’ho con te, proprio con te, con il tuo senso di colpa». E il testo continuava così: «Cari studenti, preoccupato dalla vostra permanenza all’università al di fuori degli anni previsti dal Corso di studi, desidero incontrarvi per conoscere da voi i problemi che non vi hanno permesso e non vi permettono ancora di conseguire al più presto la laurea». Ho immaginato il professore Trovato col piglio di una madre apprensiva al figlio scapolo e ultraquarantenne: «Quand’è che te ne vai di casa, ché qua hai fatto la muffa?».

La mail prosegue con le indicazioni utili per fissare un appuntamento, ma la parte interessante sono quelle poche righe all’inizio. È mai capitato che l’università scrivesse a noi studenti pigri? È accaduto prima di adesso che un preside di facoltà s’interessasse alla nostra carriera accademica? È giusto farlo in questo modo, con le email mia e dei miei colleghi in bella vista, così che chiunque dei fuori corso sappia chi è l’altro? Neanche dovessimo contarci, fare il club di quelli che non studiano. Ma superato lo straniamento iniziale, mi sono detta che sì, è umiliante nella forma, ma il modo non mi sento di contestarlo. Anzi. Anni e anni di manifestazioni studentesche a lamentarmi che l’università non ascoltava noi studenti, e adesso che intende farlo non sarò certo io a mettermi di traverso.

Se Trovato vuole sapere quali problemi abbiamo incontrato, lo inviterei a fornire i dati ufficiali sui fuori corso alla triennale del corso di Lettere Moderne. Non mi riferisco alle altre facoltà, perché non conosco la situazione, ma a Lettere sì. Pur non essendo in grado di offrire percentuali, io posso fornire un elemento empirico: nessuno di quelli che conosco s’è laureato per tempo. Per il vecchio ordinamento (matricola 646) le materie e i programmi sono un filino sbilanciati. Non dico che siano troppi, perché sempre di università stiamo parlando, dico che sono pensati male. E lo dico sulla base del fatto che le volte che mi sono presentata agli esami portando – al primo, secondo o terzo anno della triennale – gli stessi testi dei ragazzi della specialistica non si contano. Lo dico sulla base del fatto che ho sostenuto almeno tre esami con gli stessi docenti, studiando sugli stessi libri e presentando all’appello gli stessi argomenti. Aggiungerete: «Beh, questo ti rende più veloce». Risponderò: «No, questo mi fa perdere tempo». E se avete mai messo piede nel cortile del Monastero dei Benedettini sapete perfettamente di quale professore sto parlando e di quali materie.

Se decidessi di presentarmi agli appuntamenti messi a disposizione da Trovato, gli direi che quando seguivo le lezioni – l’ho fatto per poco tempo, visto che lavoravo, ma l’ho fatto – mi dava un sacco di fastidio la loro coincidenza. Il fatto che, per esempio, Letteratura italiana coincidesse con Geografia o con Linguistica generale o con Storia dell’arte, quando non con tutt’e tre insieme. Perché con piani di studio articolati come i nostri, era un vero peccato dover scegliere giusto un paio di materie da seguire, così com’era una perdita di tempo rincorrere gli altrui quaderni di appunti sui forum studenteschi.

A Trovato direi che mi sono stancata dei docenti che non si presentano agli appelli, e del fatto che ho conoscenti in altri atenei d’Italia per cui il problema degli esami che si sovrappongono non esiste. Io lo farei vedere, a Trovato, il mio libretto: gli esami sostenuti lo stesso giorno sono più d’uno. E menomale che adesso sono fuori corso e posso tentare gli appelli straordinari di novembre e aprile. Per gli studenti regolari le opportunità sono tre: gennaio-febbraio, giugno-luglio, settembre-ottobre. A mio avviso le sessioni sono un po’ pochine. Ma magari mi sbaglio.

Con questo non voglio mica dire che sono fuori corso per colpa della facoltà organizzata male. Io sono fuori corso perché non sono riuscita a organizzare le mie giornate nel modo più fruttuoso possibile, universitariamente parlando. Ma pure il fatto che per fissare appuntamenti con certo personale della segreteria di facoltà (appuntamenti essenziali, come quello per la preparazione del tirocinio) si dovesse ballare la macarena su una gamba sola, al tramonto, nel giardino dei novizi, recitando a memoria il primo canto dell’Inferno di Dante può essere che abbia avuto la sua parte di colpa. Non lo so, eh, ma può essere.

Sarah Z.

[Foto di mtelesha]


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«Quand'è che te ne vai di casa, ché qua hai fatto la muffa?». Parafrasando il contenuto di una email ricevuta dal presidente del corso di laurea in Lettere moderne di Catania, che ha per oggetto la sua «preoccupante permanenza all'università al di fuori degli anni previsti», una studentessa fuori corso, Sarah Z., scrive a Ctzen il suo sfogo. Se ha perso tempo, è certamente per sua «colpa». Ma richiedere un appuntamento in segreteria è difficile come «ballare la macarena su una gamba sola recitando Dante»

«Quand'è che te ne vai di casa, ché qua hai fatto la muffa?». Parafrasando il contenuto di una email ricevuta dal presidente del corso di laurea in Lettere moderne di Catania, che ha per oggetto la sua «preoccupante permanenza all'università al di fuori degli anni previsti», una studentessa fuori corso, Sarah Z., scrive a Ctzen il suo sfogo. Se ha perso tempo, è certamente per sua «colpa». Ma richiedere un appuntamento in segreteria è difficile come «ballare la macarena su una gamba sola recitando Dante»

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