Le attenzioni dello Stato per la detenzione di Contrada «Volevano dare segnali, fare sapere che si erano mossi»

«La prima telefonata fu quasi di sorpresa». Non si aspetta di essere cercata a casa, a pochi giorni dal Natale, Angelica Di Giovanni. Quando riceve la chiamata di Loris D’Ambrosio, all’epoca consulente del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è il dicembre del 2007 e lei ricopre l’incarico di presidente del tribunale di sorveglianza di Napoli. Una telefonata mirata, per parlare delle sorti di un carcerato speciale, Bruno Contrada, detenuto in quel momento nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. La presidente viene sollecitata – e non una volta soltanto – per pronunciarsi sulla richiesta della sua scarcerazione per ragioni di salute. Sollecitazioni che ha raccontato e documentato pochi mesi fa davanti alla Commissione parlamentare antimafia diretta da Claudio Fava. «Nella prima telefonata ricordo che D’Ambrosio mi disse: “Angelica, tu hai Bruno Contrada, come sai dai giornali, lui ci ha mandato una lettera e io non so se debbo interpretarla come istanza di grazia o meno”. Al che dico “Loris, mi telefoni per dirmi una cosa del genere? Interpretatela come volete, tanto il problema non è mio, sulla grazia al limite me la mandate per il parere, ma poi dovete pronunciarvi voi”».

Il consulente insiste, ci tiene ad avere un parere da parte della collega conosciuta anni prima, di cui ammira e riconosce la lunga esperienza. «A questo punto chiedo: “Loris, ma vuoi andare al di là, mi vuoi sollecitare qualche cosa?”. Lui dice “no, me ne guarderei bene, ti conosco”». Qualche convenevole, e di lì a poco la conversazione si conclude. Ma è solo il primo round. Intanto il 24 dicembre viene fatta recapitare una nota ufficiale al suo ufficio che annuncia: «“Angelica, su sollecitazione del Presidente della Repubblica… ti scrivo su incarico del Presidente della Repubblica se puoi anticipare l’udienza”». Quella, per intenderci, in cui si sarebbe dovuto decidere sulla scarcerazione o meno di Contrada. «Chiaramente io il 24 dicembre non ero in ufficio – racconta la magistrata -. D’ambrosio mi telefona e mi dice “guarda, ti ho mandato questa nota, è arrivata la nota?” Dico: “Sì guarda, ma il presidente della Repubblica non è parte in causa, non è figura processuale, quindi che tu mi scriva questa nota non mi serve a niente. Se volete l’anticipazione dell’udienza fai fare la domanda ufficiale all’avvocato». Che non perde tempo, e qualche giorno dopo è il legale a fare la stessa richiesta avanzata dal consulente.

Ma perché tutto questo interessamento da parte di Napolitano e del suo ufficio per ottenere l’anticipazione proprio di quella udienza? «Lei ebbe occasione di chiedergli in quel momento come mai il Presidente della Repubblica intervenisse in modo incongruo per questa circostanza?», domanda a questo punto Fava. «No, non gliel’ho chiesto perché appunto già mi conoscono come un tipo polemico – spiega Di Giovanni -. Arrivò la nota dell’avvocato di sollecitazione dell’udienza: era fissata più o meno verso la fine di gennaio, la anticipammo alla prima di gennaio e si chiuse con un rigetto delle istanze». Ma non è l’unico. Sono una decina quelli che Contrada colleziona da gennaio fino a giugno del 2007. Il deferimento della pena gli viene infatti concesso solo il 27 luglio del 2008. «Però la cosa non finisce lì… perché se il 24 dicembre mi telefona Loris D’Ambrosio per il Presidente della Repubblica, il 31 dicembre di sera mi telefona Carlo Visconti, che allora era il segretario del Consiglio Superiore della Magistratura presieduto da Nicola Mancino».

Lo stesso Nicola Mancino coinvolto qualche anno più tardi nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia, da cui è uscito, lui da solo, indenne: assolto in primo grado dall’accusa di falsa testimonianza, a dispetto dei sei anni chiesti per lui dal pm Vittorio Teresi. Assoluzione diventata definitiva tre mesi fa perché la procura di Palermo non si è appellata entro la scadenza prevista. Visconti gioca con Di Giovanni le stesse carte tirate in ballo, tra detto e non detto, da D’Ambrosio. «A questo punto feci la domanda che non avevo fatto a Loris: “Scusate, ma di che cosa vi preoccupate, insomma? Perché mi state telefonando?”. Mi spiega che chiama a nome del vicepresidente del Csm. E mi chiede: “Allora domani mattina, 1 gennaio 2008, quando vado a fare gli auguri al Presidente gli posso dire che siamo tranquilli?”». Una telefonata, in realtà, priva di sollecitazioni o pressioni di alcun genere, almeno esplicite. «Non ci fu scopo – osserva la magistrata -. C’era solo la preoccupazione, c’era questa preoccupazione…». Ma preoccupazione per cosa, esattamente? «Che potesse succedere qualche cosa – continua -. Tutti e due (D’Ambrosio e Visconti…ndr) mi parlano in forma ufficiale e quindi credo che è come se volessero dare dei segnali, come se volessero far sapere ad altri che loro comunque si erano mossi».


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