Cultura, impresa, sviluppo: parole che, dalle nostre parti, non vanno quasi mai insieme. Eppure il tempo libero è una risorsa che può produrre ricchezza. Se ne è discusso nei giorni scorsi in un incontro ai Benedettini
L’arte? Può essere «un affare»
Tentativo di segnalazione di opportunità certamente trascurate di promozione artistica e di educazione culturale attraverso limpresa, la conversazione del 4 Ottobre scorso presso il Monastero dei Benedettini fra Maurizio Caserta (Facoltà di Economia, Università di Catania), Giuseppe Frazzetto (critico darte) e Antonino Pusateri (Presidente dellAssociazione Amici della Pittura Siciliana dellOttocento di Agrigento) ha proposto temi inusuali ma di bruciante attualità.
La moderna considerazione della gestione dimpresa, che vede nellinvestimento culturale ed artistico anche un patrimonio economico attivo ed una virtuale fonte di capitalizzazione, rappresenta unopportunità sociale ancora oggi lontana dal tradizionale sistema produttivo isolano. Le istituzioni pubbliche e le imprese private coltivano poco, e poveramente, le forme di democratizzazione culturale. La cultura continua ad essere considerata appannaggio di unélite (e si deve anche dire: fortunatamente allinterno di tali élites cè chi opera, sia pure contro corrente).
Laccumulazione del patrimonio umano spiritualmente inteso, attraverso leducazione prima e la socializzazione poi (modi di riscatto e valorizzazione di un tempo libero che altrimenti diventa tempo “vuoto”), appare qui trascurabile. E trascurabili sono anche gli investimenti, di conseguenza, dato che le imprese a tuttoggi sembrano operare con estrema miopia, senza vedere nemmeno i potenziali elementi di profitto che una crescita culturale complessiva porta con sé. Cieche alle evidenze di unevoluzione globale che pone la cultura dimpresa al centro di nuovi indirizzi gestionali, delegano non si sa bene a chi lopera di promozione e sviluppo culturale, tagliandosi fuori da una prospettiva di sviluppo già efficacemente testata.
La valorizzazione del tempo libero attraverso lopportunità di una varia e accessibile offerta culturale (nonché il conseguente “arricchimento”: sia metaforico, sul piano culturale, sia effettivo, sul piano economico) pare una chimera di un terzo millennio ancora di là da venire.
Che dire, allora? Quali terapie proporre? Certi che i cambiamenti richiedono tempo e che ognuno di noi debba, qui più di altrove, farsi carico di una precisa responsabilità educativa, non possiamo che continuare a sperare. Sperare che “dal basso” provengano vedute di più ampio respiro in grado di restituire valore allespressività artistica; sperare che, in questepoca detta della globalizzazione, possa attuarsi una nuova delocalizzazione dei movimenti culturali e di pensiero; sperare in una rinnovata disponibilità delle nostre imprese verso una alterità culturale che, fuori da questi confini, ha talvolta reso il mondo migliore.