Lanza: “Lo scontro di potere? Un fenomeno siciliano”

Non accenna a placarsi la crisi delle alleanze all’interno della maggioranza dell’Assemblea Regionale Siciliana.Raffaele Lombardo ha assegnato le deleghe ai neo-assessori senza consultare il Pdl anche se poi ha incontrato a Roma il leader del Popolo delle Libertà Silvio Berlusconi. Ma cosa ha generato questo scontro così aspro? Step1 ne ha discusso con il professore Orazio Lanza, docente di Scienza politica all’Università di Catania: “Il contrasto tra gruppi di potere è una prerogativa della politica dell’isola. Lombardo vuole rafforzare il suo potere personale, ma il Pdl siciliano si oppone. Le alleanze si stravolgono sulla base agli interessi dei singoli, e le conseguenze del neotrasformismo politico danneggiano solo gli elettori. Inoltre manca una presa di posizione da parte dell’opinione pubblica e gli stessi elettori guardano poco all’operato dei politici. L’opposizione? I partiti di centrosinistra non sono vicini ai siciliani”.

Prof. Lanza, lo scontro all’interno della maggioranza in seno all’Assemblea Regionale Siciliana diventa un editoriale sul Corriere della Sera, dove Gian Antonio Stella lo bolla senza appello come una faida. Crede che questo termine sia appropriato?
Il termine faida si riferisce al farsi giustizia da sé anche con le armi per un torto subito da altre famiglie. Non so in questo caso quali siano i torti, chi li ha subiti e chi invece è stato il protagonista negativo. Ma ci sono sicuramente delle motivazioni alle spalle di questa crisi all’interno della politica regionale, motivazioni in parte locali e in parte politiche.

Quali sono le motivazioni in ambito locale?
La politica siciliana si basa essenzialmente sul contrasto tra gruppi di potere. Questo fenomeno viene aggravato dal fatto che non essendoci alternanza tra correnti politiche, il contrasto tra i vari partiti avviene all’interno dello stesso schieramento politico.

E le ragioni politiche?
A livello politico in primo luogo dobbiamo considerare che Lombardo è presidente della Regione siciliana non essendo però il capo di un partito forte, e da questo punto di vista si tratta di una anomalia. Per cui dietro c’è anche una vicenda che riguarda il funzionamento delle coalizioni. In più Lombardo ha anche un altro tipo di problema: è un catanese che va a governare a Palermo e quindi si scontra con delicati equilibri territoriali. Certamente sta cercando di utilizzare il potere che gli deriva dal fatto di essere presidente della Regione per rafforzare il suo partito personale e questo chiaramente crea dei problemi, sia a Catania – con l’altro partito forte che è quello dei suoi acerrimi nemici Pino Firrarello e Giuseppe Castiglione – sia a livello regionale, con altri gruppi che ruotano intorno a singoli personaggi della vecchia Forza Italia, che si oppongono.

Come definirebbe lei questa situazione?
Dal mio punto di vista, è più che altro uno scontro di potere in cui alcuni gruppi o partiti personali del centro destra siciliano hanno interessi contrastanti. La debolezza di Lombardo è che lui è forte fin che rimane strategicamente importante per il Pdl: quando il Partito delle Libertà si rende conto di poter essere autonomo è chiaro che Lombardo diventa inferiore e quindi potrebbe essere sostituito.

Cosa pensa a proposito del rovesciamento di 180° delle alleanze tra i partiti della destra siciliana? Alle regionali Lombardo era sostenuto dal Pdl, ma trovava in Miccichè un aspro oppositore. A distanza di poco meno di un anno invece la situazione si è ribaltata: Miccichè appoggia Lombardo ma deve far fronte all’opposizione del Pdl capitanato dal suo coordinatore Castiglione. Che valore hanno allora le alleanze?
Questo è un fenomeno che riguarda tutta la politica regionale siciliana, che qualcuno chiama trasformismo o neotrasformismo. Questo movimento continuo degli eletti deriva dal fatto che i partiti non sono fortemente radicati quanto lo sono invece le ‘macchine personali’. Però questi spostamenti avvengono nella stragrande maggioranza dei casi all’interno dello stesso schieramento politico dominante, soprattutto all’interno del centrodestra dove i confini tra un partito e l’altro cessano di essere molto rigidi. Avviene una cosa simile anche tra gli elettori, che da un’elezione all’altra cambiano partito, rimanendo però in qualche modo fedeli a se stessi. Sicuramente si tratta di cattiva politica, perché la politica diventa opportunismo oppure controllo e gestione di beni pubblici col fine di ottenere consensi e costruire carriere politiche.

Cosa significa allora: che i programmi presentati prima delle elezioni hanno un valore provvisorio? Così non vengono tradite le aspettative degli elettori?
Non è solo un fatto di malcostume della classe politica. La conseguenza è la totale assenza di responsabilità dei politici nei confronti degli elettori. Se un eletto in un partito si sposta in altro è come se gli elettori venissero in un certo qual senso truffati. Ma gran parte degli elettori non si rende conto e non reagisce, perché più che con un partito si identifica con un singolo candidato.

Ma continuando a seguire questa condotta i partiti di centro destra non rischiano di perdere parte dell’elettorato?
In Sicilia non c’è una vera e propria opinione pubblica. C’è una società civile debole, mancano i controlli sull’operato degli uomini che stanno al potere, manca una stampa libera e indipendente, la magistratura spesso e volentieri si astiene dall’entrare nella scena politica e gli stessi elettori guardano poco all’operato dei politici. Da questo punto di vista c’è una sorta di immunità del ceto politico. Il problema è che anche l’elettore segue queste vicende senza punire o premiare il comportamento dei candidati.

Anche se la Sicilia ha molto deluso le aspettative dei vertici del Pdl nell’ultima tornata elettorale, il partito di Berlusconi tiene e l’Mpa di Lombardo si afferma ancora.
Dalle elezioni europee sono emersi sostanzialmente due punti focali: da una parte hanno sottolineato la forza dei partiti di centro destra in Sicilia, ma dall’altra parte possiamo affermare che tra i gruppi in competizione per la gestione del potere all’interno della coalizione nessuno è uscito vincitore. Questo significa che i due partiti di maggioranza dovranno convivere in un equilibrio precario duraturo nel tempo, per di più in un momento in cui le risorse a disposizione della Regione Siciliana scarseggiano. L’unica soluzione per placare allora gli scontri potrebbe essere quella di cambiare il modo di fare politica, e soprattutto di portare avanti un’azione di governo che non sia soltanto utilizzo di risorse pubbliche ai fini di ottenere consensi.

Di questa situazione è in parte responsabile anche l’opposizione. Quali sono secondo lei le ‘colpe’ del centro-sinistra?
Le responsabilità del centro-sinistra sono forti, per tanti motivi. In parte sono ragioni storiche. La sinistra in generale non è mai stata molto forte in Sicilia, se non in alcune aree. E le classi dirigenti siciliane sono più conservatrici. Ma senza dubbio una grossa fetta di responsabilità spetta alle classe dirigente dei partiti di sinistra, che guardano più a Roma che a Palermo. Il centro destra ha gruppi dirigenti che spesso sono in conflitto ma che hanno però la capacità e la cultura di collegarsi completamente con il territorio. Mentre i maggiori esponenti del centro-sinistra sono più adatti ad agire all’interno del partito piuttosto che a rapportarsi con la società e il loro peso all’interno della politica siciliana è diminuito perché sono venuti a mancare i consensi.

Pd e sinistra si chiedono perché “i siciliani non li capiscono”. Lei crede sia corretta questa considerazione riferita all’elettorato siciliano?
Sarebbe più corretto dire che loro non conoscono gli elettori siciliani. I partiti di sinistra non sono vicini ai siciliani. Il consenso che riescono ad ottenere è un consenso generalmente nel vuoto di opinione. Ma quei legami con il territorio che qui vengono garantiti in primo luogo dal partito, in parte dal sindacato. C’e stata una fase in cui i partiti avevano in alcune zone un certo radicamento, c’era il sindacato che affiancava il partito, la Cgil riusciva i qualche modo a collegarsi con bisogni e interessi di persone. Adesso anche queste cose sono venute meno.

Considerando la situazione attuale, cosa potremmo aspettarci che accada in Sicilia nel breve periodo?
In Sicilia nel breve periodo non bisogna aspettarsi grandi mutamenti. Non converrebbe a nessuno rompere gli equilibri regionali. E per questo io non credo che faranno fuori Lombardo perché ha un rapporto personale con Berlusconi e serve a ridimensionare l’UDC. Per quanto riguarda l’amministrazione regionale, penso che ci sia da aspettarsi la persistenza di questi conflitti perché non si governa una regione se non si ha una maggioranza all’Ars. La debolezza di Lombardo è proprio questa: ha un numero di consiglieri regionali troppo basso per cercare di imporre tutte le sue scelte e quindi ci sarà una difficile governabilità.

Quali sono invece, secondo lei, le prospettive per il lungo periodo?
Nel lungo periodo potremmo aspettarci dei mutamenti, soprattutto se entrasse veramente in vigore il federalismo e i politici diventassero davvero responsabili di quello che fanno. La politica siciliana è una politica dipendente da Roma e forse anche da Milano. L’idea di autonomizzarsi completamente difficilmente potrà andare in porto perché per imporre una vera autonomia occorrerebbe un partito molto più forte e in grado di allearsi sia con il centro destra che con il centro sinistra, cosa improbabile allo stato attuale. Per questo continueranno ad esserci conflitti. Se in futuro scomparirà dalla scena nazionale Berlusconi le cose potranno cambiare perché uno dei sostenitori nazionali di Lombardo verrebbe a mancare e i rapporti sarebbero ridisegnati. Si assisterà probabilmente ad un processo di conflitti e riappacificazioni che andrà avanti non so per quanto tempo. Io credo che alla fine si ricompatteranno, troveranno degli equilibri. E come avveniva tra gli ex democristiani ci sarà una ricontrattazione della divisione del potere.


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