Lampedusa, terza notte di solidarietà alla Sea Watch «Dormiamo per terra per sentire la stessa disumanità»

«Non siamo riusciti ad attenuare le vostre sofferenze, non siamo riusciti a pretendere una soluzione politica, allora non ci resta che metterci fisicamente dalla vostra parte». A Lampedusa, sotto i portici della chiesa di San Gerlando, quella appena trascorsa è stata la terza notte all’addiaccio per un drappello di persone che ha deciso di «metterci il nostro corpo». Per portare un messaggio di coraggio e fiducia ai 43 migranti che da dieci giorni sono a bordo della Sea Watch, ferma a 15 miglia dall’isola delle Pelagie in attesa di un porto di destinazione che il governo italiano non vuole dare. «Stiamo facendo soffrire 43 persone in modo totalmente inutile, nel frattempo ne sono arrivate cento», sottolinea Paola La Rosa, titolare di un bed and breakfast nell’Isola e tra i membri del Forum Lampedusa solidale.

L’idea è nata quattro giorni fa. Il forum unisce la parrocchia, la federazione delle chiese evangeliche e alcuni residenti di Lampedusa. «Ci interroghiamo periodicamente su cosa accade sia alla comunità locale dell’isola che ai migranti. E ci chiediamo: cosa possiamo fare?», spiega don Carmelo La Magra, parroco di Lampedusa, dove è arrivato tre anni fa dopo un’esperienza a Favara. Il sacerdote è una delle anime dell’iniziativa. Che non vogliono chiamare protesta. «Non vogliamo protestare – spiega Paola – siamo stanchi di protestare. Vogliamo condividere, prendiamo un impegno simbolico attraverso il nostro corpo: loro dormono a terra, lo facciamo anche noi. È incredibile come, facendolo, ti si presenta davanti tutta la disumanità di questa cosa». 

Da tre notti, dunque, alcune decine di persone, muniti di coperte termiche, restano sul sagrato della parrocchia di San Gerlando, distante dal corso principale dell’Isola dove la stagione estiva sta cominciando a entrare nel vivo. A dormire lì per tutta la notte sono sette persone, ma fino a ora tarda sono una quarantina quelle che si alternano per fare loro compagnia. «È passato il muratore, il gelataio, quello che lavora nelle istituzioni, il titolare un’attività turistica», racconta Alberto Mallardo, 31 anni, referente di Mediterranean Hope, il progetto delle chiese evangeliche per l’accoglienza. Lui, romano, è arrivato a Lampedusa cinque anni fa e c’è rimasto. «Nel 2015 qui era tutto diverso – racconta – quell’anno arrivarono 23mila persone. E i militari della Guardia costiera che le salvavano venivano definiti angeli del mare. Oggi è cambiato tutto».

Al punto che alle recenti Europee la Lega del ministro Salvini a Lampedusa ha ottenuto il 45 per cento. Un dato che ha portato a concludere che i lampedusani non sono più per l’accoglienza. «Molti – analizza don Carmelo, che è anche assistente diocesano dell’Azione cattolica di Agrigento – dimenticano che l’80 per cento dei lampedusani è rimasto a casa, non è andato a votare. La Lega ha preso 600 voti. In questi giorni non abbiamo avuto reazioni particolarmente negative. Qualcuno ci ha detto “per gli italiani questo non lo fate“, ma noi non facciamo differenza. E quando rispondiamo che non ce la sentiamo di dormire nel nostro letto mentre da dieci giorni 43 persone dormono a terra, alla fine capiscono che è giusto così».

Salvo Catalano

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