Decine di cittadini eritrei stanno protestando per le vie dell'isola. A darne notizia è il collettivo Askavusa: «Il motivo è sempre lo stesso - dichiarano -. Non vogliono essere identificate perché non vogliono rimanere in Italia». Nel frattempo, sott'accusa la situazione sanitaria nel centro. Guarda le foto
Lampedusa, il primo hotspot voluto dall’Europa «Migranti in strada, situazione igienica al collasso»
Nuove proteste dei migranti, stamattina, a Lampedusa. A darne notizia è il collettivo Askavusa: «Il motivo è sempre lo stesso – dichiara Giacomo Sferlazzo, uno gli attivisti -. Queste persone non vogliono essere identificate perché non vogliono rimanere in Italia». I manifestanti, infatti, sono tutti ospiti dell’hotspot che negli scorsi mesi ha aperto sull’isola. I nuovi centri, nelle intenzioni dell’Unione europea, dovrebbero servire all’identificazione dei migranti, così da consentire di definire quali tra essi – fondamentale, in tal senso, è la nazionalità – possano rientrare nelle quote di ridistribuzione, che l’Ue ha previsto nel tentativo di ripartire il peso del fenomeno migratorio tra i vari paesi.
A beneficiare della possibilità di lasciare l’Italia – in virtù delle particolari situazioni socio-politiche che caratterizzano i territori di provenienza – sono solo siriani ed eritrei. E sono proprio originari dell’Eritrea i migranti scesi in strada quest’oggi. Il dato, tuttavia, non stupisce il collettivo Askavusa: «Il fatto che siano eritrei c’entra poco – continua Sferlazzo – in quanto non è scontato che tutti potranno trasferirsi in un altro paese. Le quote di ridistribuzione hanno soglie limitate, superate le quali i migranti sarebbero costretti a rimanere in Italia».
A far discutere, intanto, sono però le condizioni in cui i migranti sono costretti a vivere. Come dimostrato dalle fotografie pubblicate sul blog del collettivo: «La situazione igienico-sanitaria è al collasso – accusa l’attivista -. Si vedono persone dormire a cielo aperto, bagni sudici e un livello generale di incuria che fanno capire come il progetto hotspot sia fallito ancor prima di nascere». Per Askavusa, il problema sta all’origine: «Le istituzioni non fanno altro che ragionare su come gestire il fenomeno migratorio, salvo poi agire in maniera scientifica per alimentarlo. Il riferimento – aggiunge Sferlazzo – è agli ultimi venti di guerra. Ci si prepara, con molta probabilità, a una nuova azione in Libia che automaticamente darà vita a nuovi flussi migratori». Un sistema su cui, come dimostrato a più riprese dalle notizia di cronaca, il malaffare ha più volte mostrato interesse: «Neanche Lampedusa è esente da questo genere di appetiti. Ci sono motivi più che fondati per pensare che anche all’interno dell’hotspot si verifichino comportamenti riprovevoli. Quali? Prossimamente li renderemo noti» conclude l’attivista.
Sugli hotspot e l’esigenza di aprire anche gli altri in programma – Pozzallo, Porto Empedocle, Augusta e Trapani – si è espressa negli scorsi giorni l’Unione europea. Da Bruxelles, in particolare, è stato sottolineato come l’identificazione dei migranti, e nello specifico la registrazione delle impronte digitali, debba essere fatta senza se e senza ma. «Anche con l’uso della forza». A riguardo il deputato di Sinistra italiana Erasmo Palazzotto si esprime con durezza: «Il rifiuto dell’identificazione è dettato dalla certezza di dover restare in Italia, effetto contorto dell’antistorico e anacronistico trattato di Dublino. I migranti sanno bene che la procedura dell’identificazione impedirebbe di proseguire il proprio viaggio verso i paesi europei dove risiedono grandi comunità e, spesso, le loro famiglie», dichiara Palazzotto, che è componente dell’ufficio di presidenza della commissione parlamentare sul sistema di accoglienza. Da parte del deputato, poi, un attacco alle politiche di ridistribuzione dei migranti tra i paesi europei: «La stessa Ue ne ammette il fallimento».