Lampedusa, Alfano non poteva non sapere. Chaouki: Il centro cade a pezzi.

LAMPEDUSA, CHAOUKI: “NON DIGNITOSO NEANCHE PER LE BESTIE”. ALFANO NON POTEVA NON SAPERE, LO CONFERMANO I REPORT DELLE ONG E LE RICHIESTE DELL’ENTE GESTORE.
di Mauro Seminara

Alla caotica questione che ruota intorno al Centro di Accoglienza di Lampedusa adesso si è aggiunto un nuovo elemento, un Onorevole Deputato del Parlamento italiano, Khalid Chaouki, classe 1983, nato a Casablanca, in Marocco, da domenica mattina vive e condivide l’esperienza dei migranti rinchiusi tra quei padiglioni bianchi. Il giovane Deputato del PD, a cui il partito ha notificato attestati di stima e solidarietà telefonica – e forse anche comodi auguri di buon Natale, da casa – ha deciso di permanere nel Cspa fino a quando non verranno trasferiti tutti quegli immigrati che hanno superato le 96 ore di permanenza, cioè tutti. Una piccola violazione della legge, pare. Un paradosso, se a violare la legge è chi la legge la fa ed è tenuto a farla rispettare agli altri. Su questa annosa questione offre un minimo di chiarezza un comunicato stampa del “Comitato 3 Ottobre”. Nella nota con cui il Comitato chiede l’immediato trasferimento dei 246 immigrati, viene infatti ripreso, ricordato al Governo italiano, l’articolo 13 della Costituzione. Lo ricordiamo anche noi. “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o di perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dalla autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge”.

Agli “ospiti” – così continuiamo a chiamarli ma forse non è il termine più adatto – del Cspa di Lampedusa nessuno ha notificato ordinanze restrittive. Non sanno neanche perché stanno li da oltre due mesi. Il giovane Onorevole Chaouki, – onorevole di fatto, vista l’iniziativa – mediante il suo smartphone aggiorna sullo stato del soggiorno con videomessaggi. In quello diffuso questa mattina ha raccontato di una ragazza, in piena notte, in preda a una crisi. Urla di un probabile attacco di panico che hanno svegliato anche gli altri immigrati, oltre ai medici del Centro. Una situazione che Kafka descrive per stato d’animo nel suo “Processo”, ma che non avrebbe comunque potuto immaginare realmente esistente e in questi termini. Un limbo bianco immerso in una valle – quella appunto di Imbriacola – in cui nessuno sa perché si è bloccati. Imprigionati senza sbarre alle celle. Anzi, senza neanche le porte. Abbiamo intervistato telefonicamente Khalid Chaouki ieri sera e ci ha descritto un contesto fatiscente. “In alcune zone manca l’acqua e in altre manca la luce”, dice Chaouki riferendosi agli alloggi. Il giudizio sommario dell’Onorevole: “Un contesto che non è dignitoso neanche per le bestie”. In alcune stanze pioverebbe addirittura dentro. “Servizi igienici carenti”, racconta ancora Chouki, che tra l’altro ci dice di aver preso questa decisione di propria personale iniziativa e solo dopo aver parlato con i migranti che soggiornano nel Centro. Durante la conversazione telefonica, il giovane parlamentare ci descrive pasti dignitosi ed entusiasmo, non solo dei migranti ma anche degli operatori del Centro. “Vogliono che io veda e racconti come stanno realmente le cose qui dentro” dice Khalid Chaouki. Desiderio condiviso.

Per meglio comprendere la situazione è forse il caso di tentare una analisi tecnica con scissione delle competenze. Da due anni non viene affidato incarico a una impresa che possa provvedere alla manutenzione, e anche i padiglioni che non erano stati distrutti dall’incendio del 2011 cadono a pezzi. Lo stato in cui versa il centro di accoglienza di Lampedusa è comune a molte altre strutture simili in Italia. Stessa storia anche per i Cie. I Centri di Identificazione ed Espulsione, in cui vi si possono imprigionare i migranti che potrebbero essere espulsi fino a diciotto mesi, sono passati da dodici a cinque e la capienza di questi ancora operativi è scesa a 556 dagli originari 994. Praticamente l’equivalente di un barcone come quello affondato al largo di Lampedusa il 3 Ottobre scorso. Cadono a pezzi e non sono sufficienti ad accogliere – o espellere – neanche una infinitesima parte dei migranti che transitano sul nostro territorio. In più, se si pensa ai diciotto mesi di permanenza, dovrebbero essere almeno diecimila i posti utili. Basti pensare che nel 2012 sono stati 8.000 i migranti transitati nei Cie, e di questi solo la metà è stata di fatto espulsa. Un sovraffollamento in attesa di giudizio simile a quello carcerario, dove comunque è pieno di immigrati. Ci vuol poco, giudicando i soli dati numerici, a dedurne che forse non era l’ente gestore del Cspa di Lampedusa a dover essere silurato. Che forse non dovevano essere i circa cinquanta dipendenti della cooperativa a dover perdere il posto di lavoro. Anche se forse, che il contratto con Lampedusa Accoglienza è stato rescisso, fino a oggi agli operatori che vi lavorano lo ha detto solo la stampa.

Altro aspetto utile alla deduzione dei ruoli è la pianta della struttura di Contrada Imbriacola. Questa infatti è stata progettata in origine per accogliere 350 persone, con un piano di emergenza che la espandeva a 700, poi a 800, e infine si contavano anche i posti dell’infermeria e ricavabili da alcuni uffici per arrivare a 850 posti. La mensa però poteva accogliere al massimo un centinaio di posti a sedere e la cucina, su un ipotetico annuncio immobiliare, non verrebbe neanche definita “abitabile”. Carenze strutturali, come testimonia anche Chaouki che, involontariamente, assolve gli operatori del centro e la gestione per le loro competenze (pasti e cure alla persona) e condanna la negligenza tangibile per lo stato della struttura, oltre ovviamente alla violazione della libertà di chi è imprigionato li dentro. E questo non può non saperlo il Ministero degli Interni, come non può essere certo imputato all’ente gestore.

A tratti, quindi, pare di dover descrivere un Paese alla rovescia. Uno Stato in cui un sindaco, ospite della Tv di Stato, bacchetta un Ministro sbugerandolo davanti a un folto pubblico senza rischio di smentita. Un luogo in cui ci si può permettere di dire “non sapevo” con i report ufficiali sulla propria scrivania. Report che, in virtù del protocollo d’intesa tra il Ministero e le Ong, ogni organizzazione umanitaria operante nell’ambito del progetto Praesidium era tenuta a produrre all’Unione Europea e al Ministero degli Interni. Rapporti regolari in cui erano posti in evidenza i disservizi e le carenze strutturali al tempo stesso comunicate dall’ente gestore che avrebbe anche chiesto formale autorizzazione alla Prefettura di Agrigento di poter intervenire con propri mezzi per porvi rimedio, pur non essendo propria competenza. Infine, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 22 giugno si era recata al Cspa di Lampedusa per una ispezione. Eppure oggi si parla soltanto delle “docce disinfettanti”. Non del sovraffollamento né delle condizioni pietose di tutte quelle strutture in cui i migranti vengono illegalmente detenuti senza l’opportunità di incontrare un avvocato o di chiedere udienza a un giudice di pace, anche solo per sapere perché sono chiusi li dentro, di cosa sono accusati. Forse perché spiegare cosa è la legge Bossi-Fini è difficile, soprattutto per un uomo di legge, figurarsi dover dare chiarimenti su una costrizione della libertà che neanche la predetta legge può autorizzare. Dopo il caso Shalabayeva, di cui Alfano si è detto all’oscuro dei fatti, e dopo lo stato in cui versano i centri di accoglienza – in particolare quello di Lampedusa dove negli ultimi tempi si è recato più volte – sorge il dubbio che Angelino non sia tagliato per fare il Ministro.



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