New York, 1903: nella città delle occasioni, in cui sbarcano dodicimila stranieri al giorno, in cui gli italiani sono aborriti come alieni superstiziosi e criminali, approdano da Tufo di Minturno - un minuscolo paese sul Garigliano, Diamante e Vita, due ragazzini di dodici e nove anni. Ed è subito leggenda
”LAmerica non esiste. Io lo so perché ci sono stato.”
L’America è una banconota cucita nelle mutande. È un’ispezione, e una croce sulla schiena. È una bambina che, invece, è già al di là del confine e aspetta di essere presa per mano e guidata nella città dei palazzi che toccano il cielo, delle tombe profanate, dei fiori di pezza e dei bambini mai nati. L’America, per Diamante, è la mano appiccicaticcia di Vita, è la federa di un cuscino a righe che contiene tutto il suo bagaglio. È Ellis Island, dove gli americani fanno domande imbarazzanti, mentre tutti gli altri, centinaia, migliaia di emigranti, si spintonano, si cercano, si chiamano in dozzine di lingue diverse. C’è un romanzo, premio Strega 2003, che è la storia di tante storie, quella di Vita e di Diamante, di Agnello, di Rocco, di Lena, di Cicchitto, dei Buongiorno Bros, di Geremia e di Coca-Cola, dell’Italia di inizio Novecento, tasche vuote e una valigia in mano, ma soprattutto la storia di una ricerca, la ricerca della memoria di una famiglia, della sua famiglia, che Melania Mazzucco si sente in dovere di raccontare. Perché “Solo quello che si racconta è vero”. Così le voci di quei due ragazzini soli e impauriti diventano l’unica voce di un uomo e di una donna indissolubilmente legati l’uno all’altra ma divisi dalla vita, dalla Mano Nera, e, a tradimento, proprio dall’America, che si frappone tra loro come un muro lungo e denso, e alto, sì, ma non insormontabile. Un muro che, nonostante le difficoltà, le angherie degli uomini, la malattia e la miseria, lascerà che continuino ad amarsi, che si ritrovino per poi perdersi di nuovo ma senza mai, neanche per un attimo, dimenticarsi.
Da quel giorno d’aprile del 1903, Melania Mazzucco ripercorre le vite dei suoi due protagonisti come chi, in silenzio e lentamente, segue con sguardo attento e amorevole il percorso di un filo d’acqua, e lo vede scorrere, ingrossarsi, cambiare direzione, assottigliarsi e poi scomparire inghiottito dalla terra. Di Vita, la bambina dai folti capelli scuri e dagli occhi neri, risoluta e accogliente, sofferente e armoniosa, piccola e grande, come l’oceano – è lei il centro pulsante e il fine ultimo di tutte le storie. Di Diamante, che diventerà, col tempo, il nonno dell’autrice, il ragazzino dagli occhi che invece sono celesti e profondi, orgogliosi e fragili. Dell’Italia, dove Diamante ritornerà, deluso. Di New York, che Vita deciderà di non lasciare, se non per andare in cerca di lui, un’ultima volta. Di chi, attorno a Vita e a Diamante, vive e sopravvive, e scruta con invidia, rabbia, rancore e rassegnazione il loro legame nascere, crescere, spezzarsi e ricomporsi. Di Enrico Caruso e Charlie Chaplin, guest stars fatte, anche loro, di carne e ossa, e sofferenza, e amore, e morte, e guai. Di Tufo di Minturno, da dove tutto è cominciato e finisce idealmente. Di Little Italy e Prince Street, di Coney Island e Roma, testimoni oculari di vicende che, a guardarle con gli occhi del presente, assumono un senso altro, un significato più profondo. Del mistero di un amore che fa sorridere e ridere e piangere e soffrire come nessun altro amore aveva mai fatto prima. Del mistero che non finisce, neanche dopo la fine, e che resta aperto e fa luce e getta ombra su tutto il resto. Di quel mistero che è la vita, e la sua vita, Melania Mazzucco scrive con cura e senza fronzoli, in italiano, in dialetto, in inglese, nella lingua del cuore. E le parole sono baci, sono sassi, sono gocce di sangue e tempesta. E Vita è, dalla prima all’ultima delle sue 472 pagine, un concentrato di emozioni, continue, serrate, che ti afferrano, ti stringono, e non ti abbandonano più. E se è vero, come dice Giovanni Tesio, che “La riprova dei buoni libri è data dal rammarico di doverli lasciare”, Vita è un gioiello da riporre sullo scaffale con affetto, consapevoli dell’impossibilità che sia lei, ormai, a lasciare noi.
“Le parole, Diamante le mette nella valigia
– l’unico bagaglio, l’unica ricchezza
che si porta via dall’America. Forse non hanno
nessun valore, ma non ha importanza.
Lascia a Vita tutto quello che ha trovato,
tutto quello che ha perso.
Le lascia il ragazzo che è stato e l’uomo
che non sarà mai. Perfino il suo nome.
Ma le parole – quelle le porta via con sé.”
http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/rizzoli/_minisiti/vita/index.htm