La Valle d’Aosta salva i precari contro i diktat di Roma. In Sicilia invece si obbedisce

PUO’ SEMBRARE UN PARADOSSO: NELLA NOSTRA REGIONE ‘AUTONOMA’ I POLITICI SONO NON AUTONOMI PER DEFINIZIONE

Che differenza c’è tra una Regione a Statuto speciale guidata da  politici seri ed una guidata da politici venduti alle segreterie romane? La domanda sembra retorica, ma non lo è. Basta guardare a quello che succede  in Valle d’Aosta e a quello che succede in Sicilia. Nella prima regione, ogni qualvolta il Governo nazionale propone norme che contrastano con l’Autonomia e che si traducono in  tagli che provocano danno all’economia locale, succede il finimondo. In Sicilia, invece, si accettano supinamente tutti i provvedimenti d’austerity che stanno riducendo alla fame, letteralmente, l’Isola. Alla faccia non solo della sua Autonomia, ma della stessa sopravvivenza dei siciliani.

Anche dal Trentino arrivano esempi di una classe politica che ha sposato la causa del territorio. Il Consiglio regionale ha dichiarato guerra al neo-centralismo statale che succhia risorse e non dà nulla in cambio. E le recenti elezioni regionali hanno premiato questo impegno.

L’ultima battaglia, in ordine cronologico,  contro i soprusi dei Governi nazionali venduti alle oligarchie finanziarie europee, è stata vinta da Aosta:

per l’impiego dei precari negli enti locali in Valle d’AOSTA non si applicano i vincoli statali. Lo ha stabilito la Corte costituzionale che ha respinto il ricorso del Governo contro un articolo della finanziaria regionale del 2010 in cui veniva fissato un tetto massimo di spesa per il personale a tempo determinato piu’ alto rispetto a quello previsto dalla normativa nazionale.

La Regione autonoma aveva stabilito che venisse speso il 70 per cento rispetto allo stanziamento dell’anno precedente, mentre, secondo il ricorso del Consiglio dei ministri, la normativa avrebbe invece dovuto fissare un vincolo del 50 per cento. La sentenza della Consulta depositata oggi  conferma ”l’inapplicabilita’ alla Regione autonoma Valle d’AOSTA della norma su cui si fonda il ricorso” del Governo, vale a dire le misure urgenti di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica del maggio 2010, in quanto le modalita’ di partecipazione della Regione ”alle misure statali di coordinamento della finanza pubblica” erano gia’ state stabilite dall’accordo sul federalismo fiscale.

Ovvio che per la Sicilia, dove i precari sono un esercito  non si può, obiettivamente, pensare ad una stabilizzazione di massa. Ma il punto è un altro. Pure se si potesse fare qualcosa per arginare il danno sociale di nuovi imminenti disoccupati, la classe politica siciliana, non la farà. E’ troppo attenta a non deludere i padroni romani.

D’altronde lo abbiamo già appurato con un’altra sentenza: la numero 219/2013 (di cui via abbiamo raccontato nel dettaglio qui)  con cui l’Alta Corte ha stabilito che  tutti gli Enti Locali  delle Regioni a Statuto Speciale che hanno sforato il patto di stabilità non verrà comminata alcuna sanzione. Né la Corte dei Conti potrà dichiararne il default.

Insomma, una sentenza che sarebbe un assit perfetto per una classe politica impegnata nella difesa del territorio. Ma in Sicilia al Governo ci sono sempre i soliti ascari. Più importante per loro assicurarsi una futura carriera che difendere la propria regione.

Che aspetta la Regione ad applicare la sentenza della Corte Costituzionale sulla non sanzionabilità dei Comuni Siciliani?


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