La lista - aggiornata oggi dopo l'arresto a Napoli di Marco Di Lauro - comprende anche il sardo Attilio Cubeddu. In sua compagnia c'è il padrino di Trapani e il capomafia del mandamento di Pagliarelli, ricercato dal 1998 e ritenuto tra i più pericolosi d'Europa
La top tre dei latitanti più pericolosi, restano due siciliani Il boss Giovanni Motisi insieme a Matteo Messina Denaro
L’ultimo aggiornamento dei latitanti più pericolosi d’Italia segna la data di oggi. L’elenco della Direzione centrale della polizia criminale ha subito una importante modifica dopo la cattura di Marco Di Lauro, acciuffato l’altro ieri a Napoli dopo 14 anni da irreperibile. La lista dei criminali di massima pericolosità redatta dal ministero dell’Interno si restringe a tre soli nomi. Due dei quali appartenenti a Cosa nostra siciliana. Al vertice c’è sempre Matteo Messina Denaro, il boss di Castelvetrano di cui non si hanno più notizie dal 1993. Anno delle bombe mafiose a Milano, Firenze e Roma. Su di lui si concentrano gli sforzi investigativi di carabinieri e polizia, e dal 1994 le ricerche sono state estese anche in campo internazionale.
Negli anni, attraverso svariate operazioni antimafia, sono finiti in manette molti dei suoi fiancheggiatori. In particolare la sorella Patrizia e il fratello Salvatore, oltre ai cugini Giovanni e Matteo Filardo e al nipote Francesco Guttadauro. Attorno al padrino originario della provincia di Trapani c’è un fitto alone di mistero, fatto di aneddoti spesso svelati dai collaboratori di giustizia. Manuel Pasta raccontò della presenza di Messina Denaro allo stadio Renzo Barbera di Palermo durante la partita tra i padroni di casa e la Sampdoria, il 9 maggio 2010. La rivista Forbes l’anno successivo lo ha inserito nella lista dei dieci ricercati più pericolosi al mondo, paragonandolo a personaggi come il trafficante di droga messicano El Chapo Guzmàn. Oltre al reato di associazione mafiosa Messina Denaro è accusato di strage, devastazione e furto. Ma secondo alcuni vertici delle forze dell’ordine non sarebbe più operativo, con un’influenza limitata alla provincia d’appartenenza.
Dal 1998 è invece ricercato Giovanni Motisi, detto u pacchiuni, il grasso, l’altro siciliano nella top tre dei latitanti di massima peircolosità. Palermitano, 59 anni, ritenuto inserito nel mandamento mafioso di Pagliarelli. Lo stesso che recentemente ha fatto riemergere la figura di Settimo Mineo, classe 1938, gioielliere in pensione con un passato alle spalle di condanne per 416bis. Arrestato per la prima volta nel 1984 e condannato da Giovanni Falcone nel primo maxi processo a Cosa nostra, Motisi è ancora ricercato per associazione mafiosa, omicidio e lesioni personali. Sulle sue spalle c’è anche una condanna all’ergastolo e dal 1999 le ricerche su di lui si sono allargate anche in campo internazionale. Insieme a Messina Denaro è l’unico italiano che fa parte della lista dei fuggitivi stilata da Europol, l’agenzia per il contrasto al crimine dell’Unione europea. Secondo gli inquirenti il padrino, anche lui inserito nel mandamento di Pagliarelli, è uno dei più potenti boss di Palermo. Storica la sua militanza agli ordini di Totò Riina, di cui è stato fidato killer.
Una delle piste, che però non ha mai portato a risultati concreti, ha spinto gli inquirenti a cercare Motisi fino in Francia. Dove forse si sarebbe rifugiato a partire dal 2004. Anno che un suo fiancheggiatore ha individuato, davanti ai magistrati, come quello di destituzione del boss dal ruolo apicale. Raccontando di un presunto trasferimento ad Agrigento, dove per anni ha regnato il capomafia Giuseppe Falsone, poi arrestato a Marsiglia dopo una latitanza durata undici anni e un intervento di chirurgia plastica che ne aveva modificato i lineamenti del viso.
Il terzo della lista dei latitanti non è un siciliano. Si tratta di Attilio Cubeddu, nato nel 1947 in provincia di Nuoro, in Sardegna. Irreperibile dal gennaio 1997, quando non rientrò nel carcere di Badu e Carros da dove si era allontanato grazie a un permesso premio. Specializzato nei sequestri di persona, Cubeddu tornò in attività anche da latitante. Fu lui il custode dell’imprenditore tessile Giuseppe Soffiantini. Prigioniero per 237 giorni e rilasciato dopo il pagamento di un riscatto da cinque miliardi di lire.