A rilevarlo è una ricerca condotta dal Centro studi della Cna. Sette anni di crisi e di politiche economiche dettate dall'Europa hanno fatto arretrare l'Italia in fondo alla classifica delle Nazioni più povere. Ma quando si parla di Italia il riferimento è alle regioni meridionali e alla nostra Isola
La Sicilia come la Grecia E’ tra le regioni più povere d’Europa
I dati sono catastrofici: 17,3 milioni di italiani vivono in condizioni di disagio economico e a rischio di esclusione sociale. A rilevarlo è una ricerca condotta dal Centro studi della Cna. Sette anni di crisi e di politiche economiche dettate dall’Europa hanno fatto arretrare il bel Paese in fondo alla classifica delle Nazioni più povere. Il solo Paese che in questi anni ha ridotto il rischio povertà è, vedi caso, la Germania.
Ma quando si parla di Italia e, soprattutto, di una Italia povera, il riferimento, come sempre, è alle regioni meridionali e alla Sicilia in particolare: «A impressionare maggiormente è l’ampiezza del disagio sociale raggiunta nel Mezzogiorno: in Sicilia riguarda ormai oltre il 55% della popolazione e supera il 40% dappertutto, tranne Sardegna (31,7%) e Abruzzo (26,2%)» scrive la Cna.
«Sette anni di crisi stanno affondando le regioni meridionali e insulari, che sono le più a rischio indigenza d’Europa. Sono dati – si legge nella ricerca- che pongono un terzo del Paese al livello delle regioni più povere di Bulgaria, Grecia, Ungheria».
Nel solo 2013 sono stati 133mila i meridionali che si sono spostati nel resto del Paese. E ancora: nel Mezzogiorno il reddito medio delle famiglie dove l’entrata principale deriva da lavoro autonomo è di 27.546 euro, quasi 16mila euro in meno che al Nord, dove arriva a 43.272 euro. A fotografare l’immagine di un Paese sempre più spaccato territorialmente, viceversa, sono i valori di Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Piemonte, non dissimili dalla media dei Paesi nordici.
Un quadro allarmante che dà ragione a chi prevede rivolgimenti sociali importanti. Perché dinnanzi ad una povertà dilagante il Governo nazionale continua imperterrito a tagliare risorse al Sud per fare quadrare i suoi conti e quelli dell’Europa.
Una scure che si abbatte con particolare violenza sulla Sicilia. Negli ultimi due anni, come si ricorda in questi giorni in cui la manovra economica per il 2015 sta per approdare all’Ars, lo Stato ha prelevato circa tre miliardi di euro dal bilancio regionale. A questo si aggiunge lo scippo dei fondi Pac: circa 3,5 miliardi di euro destinati al Sud (600 milioni circa per la Sicilia) sono stati dirottati altrove. Finanzieranno gli sgravi contributivi per le nuove assunzioni che difficilmente riguarderanno la nostra regione.
E, il bilancio per il 2015 non promette nulla di buono: si prevede un altro miliardo circa di accantonamenti imposti dal Governo Renzi (termine tecnico che indica i prelievi forzosi dalle casse regionali), più altri tagli che, con ogni probabilità, porteranno al licenziamento di migliaia di persone, a partire dai precari degli enti locali e al possibile default di molti comuni.
Il tutto mentre si fanno orecchie da mercante sul principio della territorializzazione delle imposte, ribadito dalla Corte Costituzionale in una recente sentenza e ricordato dai tecnici della Regione nella relazione che accompagna il disegno di legge sul bilancio. Nel documento è scritto nero su bianco che l’applicazione di tale principio risolleverebbe le sorti finanziarie della nostra regione. Ma, la cosa non sarebbe conveniente per il Governo Renzi.