Valentina ha 30 anni, una laurea in Lettere classiche e la voglia di diventare insegnante. Ma si ritrova a combattere contro quanti vogliono tenere fuori i giovani da quel mondo e la burocrazia. E sotto al cartellone che pubblicizza una scuola privata, si ritrova a pensare alla storia, alle diverse velocità alle quali viaggia e al rischio di perdere il bagaglio per strada
La scuola oggi? Salviamo il salvabile L’amaro sfogo di un’aspirante insegnante
Sono incazzata nera, furiosa, e con qualcuno me la dovrò pur prendere sant’Iddio! Ho 30 anni, quasi 31, ho sempre cercato di fare le cose per benino, in modo ordinato, coerente, di seguire una logica, una progettualità (parola molto di moda). E ho fatto male, malissimo. Adesso, forse, sarei leggermente meno incazzata.
Comunque ad un certo punto della mia vita ho pensato: mi iscrivo in lettere classiche. Perché mi è venuto in mente? Perché mi piaceva. Punto. Perché andavo a Siracusa a vedere le rappresentazioni classiche e mi piacevano, perché volevo capirli bene quei testi. Perché quando si sente dire «la democrazia è nata in Grecia» oppure «i Romani hanno inventato il diritto», uno pensa «ma guarda che belle invenzioni! E com’è bello questo nostro mondo occidentale basato su questa bella cultura umanistica, con l’uomo al centro di ogni nostro pensiero, e trascendenza pochina, quel tanto che basta, un occhio al cielo ma i piedi ben piantati in terra, aristotelicamente, laicamente». E pensando a come è bella la nostra cultura, quell’idea di politica che fu, quell’arte che educa, quel senso di umanità ellenistico-cristiano, può succedere che un’anima giovane e inesperta si lasci sedurre dall’assurda idea ottocentesca di volerci affondare le manine e gli occhietti in tutte queste belle cose; toh, per capire, per precisare in che senso i Greci hanno inventato la democrazia, che detta così potrebbe passare per uno slogan elettorale e invece ci sono tante cose dietro questa frase da approfondire, e non certo per sottrarre ai Greci il merito dell’invenzione ma anzi per rendergli giustizia, a questo merito, e comprenderlo appieno.
E man mano che uno impara a vederci un po’ più chiaramente in questo cono di storia, che capisce come e perché è andata così e così, e legge e impara a leggere anche quello che non è scritto, subito pensa: meno male che ho le mani in pasta nel nostro lontano passato, così riconosco tutti gli ingredienti di questo nostro avariato presente, e se sono fortunato capisco pure che cos’è che ha fatto acido, e posso anche pensare a correggere o a cambiare ricetta, inventandomela o prendendola dal quaderno della nonna. Troppa grazia.
Comunque sia, dopo che uno è tutto contento del suo palato fino, pensa: quel tanto di bellezza e di conoscenza che ho potuto attingere dalla vita non me lo terrò gelosamente custodito sotto il materasso, ma lo metterò a parte col mio prossimo, perché io amo l’uomo, quello in atto e quello in potenza, e ancora di più il secondo, perché al secondo, forse, posso ancora essere utile e trasmettergli qualcosa di utile e di bello, cosicché il bello e l’utile, passando di generazione in generazione, attraversino i secoli finché i secoli finiranno, se mai finiranno (dettaglio irrilevante quest’ultimo, perché ciò che conta davvero è che non ci sia mai un secolo privo di bello e di utile).
Ma come può il bello e l’utile attraversare i secoli, e toccarli tutti, tutti quelli che ci saranno? Mah. Ci vorrebbe qualcosa, un posto, un sistema all’interno del quale un complesso di conoscenze e di beni immateriali possa liberamente e proficuamente transitare da una generazione più vecchia ad una più giovane, in un sereno clima di scambio e di crescita collettiva. Mah. Fosse mica la scuola? Per tutti i tralci di vite del Mediterraneo, per tutto il vino che è stato bevuto in onore di Dioniso, sembrerebbe proprio la scuola questo posto!
E allora uno, dopo aver pensato tutte le cose di cui sopra, infine pensa: quando sarà il mio turno di trasmettere qualcosa e di rendermi utile a questa nostra bella società democratica e occidentale, che mi sembrava così bella quando era bella, lo farò con passione, con diligenza, con impegno, anche se nessuno mi ascolterà, anche se mi tireranno i pesci in faccia, anche se saranno tutti pronti a darmi la colpa di ogni starnuto dei miei alunni (ma perché l’insegnante ha fatto sedere mio figlio sotto quello spiffero letale?!). E invece, no. Ma come no? NO! Avete capito bene, no!
La scuola non è affatto quel posto, la scuola pubblica, naturalmente. Tu, giovane anima tardo romantica, tanto per cominciare non ci entrerai mai, perché il tuo contributo non è utile e tu non ci servi. Naturalmente non te lo diciamo chiaramente, ma te lo facciamo intendere velatamente, e intanto che intendi, per il sì e per il no, oggi domani un concorso, i soldi del corso abilitante escili (lo so che è intransitivo ma questo è il mio sfogo, cazzo, e voglio transitare l’intransitabile!).
Ma se mai per caso e per errore dovessi entrarci, metti una distrazione di qualcuno che lascia una finestra aperta, scordati di fare quello che pensavi di fare: devi solo sopravvivere, burocraticamente, oppure attrezzarti per i miracoli e trasmettere la cultura ai ragazzi con la semplice imposizione delle mani. Che tanto, meno cose sanno meglio è. Certo, perché questi ragazzi sono ragazzi che mica hanno pagato una retta per stare lì dove stai anche tu, stanno lì perché non si sa dove altro metterli e tu: intrattienili e fai in modo che nessuno si faccia male. Punto. Perché poi, gli altri ragazzi, quelli che è meglio che sappiano e che capiscano, non è bene che stiano stipati come galline in classi pollaio e che abbiano insegnanti o svogliati o esauriti; si dovrà trovare per loro soluzioni alternative, che ne so, scuole svizzere, collegi di religiosi, precettori privati e chi più ha più ne goda.
Così in una nostra bella piazza campeggia il manifesto pubblicitario di una scuola privata che prepara già i ragazzi per i test di accesso all’università (che se quando mi sono iscritta all’università mi avessero detto: «Tua sorella minore dovrà penare per fare quello tu ora fai cantando cantando», non ci avrei creduto) e il manifesto pubblicitario tra le altre cose ci tiene a specificare «max 15 alunni per classe», guarda un po’. Che poi, i figli e i nipoti di quelli che ci governano senza che noi glielo avessimo chiesto, chissà dove vanno a scuola! Chissà se studiano in Italia, chissà se possono godere della rinata e riformata scuola pubblica italiana!
E mi chiedo, in questo clima da tardo impero, travolti da barbarie finanziarie e teutoniche, dobbiamo rassegnarci? Non c’è speranza di un nuovo umanesimo senza essere costretti ad attraversare il Medioevo? Che poi, tra l’altro, il Medioevo ricordiamoci che ci ha lasciato la Divina Commedia in eredità, mica bruscolini. La storia cammina a velocità diverse, a seconda dei casi: noi non dobbiamo perderci il bagaglio per strada. E allora mi calmo. Respiro un attimo. Avrei voglia di fumare. Le cose sono molto diverse dalle mie previsioni e dalle mie aspettative. Si cercherà comunque di salvare il salvabile. Ancora una volta.
Valentina Sineri
[Foto di tim ellis]