Carceri colabrodo, un sistema penitenziario in difficoltà senza adeguati apparati di controllo e con carenze di personale. E almeno cinque anni di allarmi ignorati. Al punto da spingere i sindacalisti, di diversi orientamenti politici, a paragonare il carcere a «un hotel o un college». Condizioni che faciliterebbero l’approvvigionamento da parte dei detenuti di armi, droga e mezzi di comunicazione. La sicurezza è a rischio tra rifornimenti che avvengono brevi manu e a mezzo droni. «Questioni ataviche che vanno avanti da anni – commenta a MeridioNews il segretario generale di Uilpa Gennarino De Fazio – che si sono manifestate in maniera più evidente con la pandemia».
Se le prime avvisaglie di tensione si erano già manifestate durante il lockdown, quando le proteste dei detenuti sembrava fossero destinate a ottenere amnistie e indulti, l’ultimo episodio, in ordine di tempo, ha visto protagonista il carcere di Frosinone, nel Lazio, dove «decine di voli di droni ronzanti ogni settimana recapitano alle mani protese dalle finestre coltelli, microtelefonini, eroina e persino una pistola semiautomatica calibro 7.65», denuncia il Comitato dei collaboratori di giustizia (Cogi). Se a livello nazionale casi di approvvigionamento tramite droni sarebbero molteplici, in Sicilia per il momento non ci sono casi noti, se non un tentativo non riuscito. «A Trapani, per esempio – dice a MeridioNews la portavoce del comitato Maricetta Tirrito – sono stati trovati dieci microtelefonini all’interno di alcuni manici di padelle e a Siracusa sono stati arrestati due catanesi per avere tentato di introdurre telefoni attraverso i velivoli». Rinvenimenti talmente frequenti che inducono a pensare che anche sull’Isola ci sia un sistema di monitoraggio e comunicazione con droni.
A mancare, però, sarebbero i mezzi per contrastarlo. «Basti pensare che lo spazio aereo del Pagliarelli di Palermo e del carcere di Trapani – spiega Tirrito – è totalmente libero e non adeguatamente controllato». E questo contribuisce a impedire l’individuazione dei velivoli che «viaggiano di notte, senza luci di segnalazione e con le telecamere a infrarossi – aggiunge Tirrito – in una struttura che non possiede telecamere fisse che puntano alle finestre, ma spesso e volentieri solo quelle a circuito rotatorio». Le conseguenze di non avere efficienti sistemi di videosorveglianza sono disastrose, tuttavia si potrebbe sopperire anche senza costi eccessivi. «Basterebbe che tutte le carceri fossero dotate di antenne che captano i segnali radio che si trovano in commercio a costi accessibili». Fino ad allora, per Tirrito – che con il comitato è promotrice di un progetto a costo zero che aspetta da due anni una risposta dalle istituzioni – «la criminalità andrà sempre più veloce rispetto allo Stato, anche sulla tecnologia».
Per il Cogi, il rifornimento tramite droni «è un disegno criminoso che – sostiene Tirrito – prova la capacità delle mafie di riprodurre dinamiche di gestione territoriale anche in carcere». Con l’aggravante che la supremazia mafiosa influisce negativamente sulla possibilità che il detenuto possa in futuro collaborare con la giustizia. «Lo Stato corre dietro l’emergenza plateale e non struttura la sua attività sulla funzionalità della pena – attacca la portavoce del comitato – Così non c’è speranza che il detenuto decida di collaborare perché intrappolato in maglie che gli dimostrano lo strapotere della mafia anche negli istituti penitenziari». Prove di forza testimoniate anche da minacce e intimidazioni nei confronti della polizia penitenziaria. Come a Enna dove il dirigente sindacale di Fp Cgil polizia penitenziaria Salvatore Vigiano ha ricevuto una lettera di minacce dove gli viene intimato di non continuare le attività sindacali all’interno dell’istituto. «Tutto parte dal fatto che stiamo denunciando una serie di inefficienze – spiega Gaetano Agliozzo di Cgil al nostro giornale – che riguardano i disagi che vivono gli agenti all’interno del carcere».
Al momento, però, questa è solo una ipotesi da verificare. «Sappiamo solo che il nostro collega è stato in prima linea – continua il sindacalista – e siamo molto preoccupati perché, da quanto ci risulta, questo è il primo caso». Per questo il sindacato ha chiesto al Dap di verificare la sicurezza delle carceri e la tutela del personale. «Immagini cosa potrebbe succedere se un direttore di un istituto si esponesse nel criticare gli strumenti a disposizione o un suo sottoposto decidesse di chiedere aiuto – conclude Tirrito – si creerebbe una lotta intestina che la gestione delle carceri non può permettersi». Una gestione non semplice, specie in tempi di pandemia, con contagi che aumentano e regolamenti insufficienti, disapplicati e inadeguati al contrasto delle nuove varianti. La ministra della Giustizia Marta Cartabia aveva comunicato che a gennaio avrebbe provveduto a concentrarsi sulle carceri ma, per il momento, la situazione è rimasta invariata.
Sull’Isola, stando ai numeri di un recente report del Dap, si registrano 54 positivi al Covid tra i detenuti: 23 a Catania, dieci a Enna, tre ad Augusta, uno a Barcellona Pozzo di Gotto, Castelvetrano, Siracusa e Termini Imerese, due a Gela, tre a Messina e sei a Palermo. «A noi ne risultano almeno 300 positivi e altrettanti in isolamento fiduciario – sono invece i conti di Uilpa Sicilia – A breve il personale non potrà prestare servizio e non avrà neanche i sostituti». A nulla sembrerebbe essere servito il protocollo di intesa siglato con il provveditorato. «Secondo quanto concordato, avremmo dovuto fare i tamponi ogni 15 giorni, ma non li eseguiamo in modo continuativo da circa un anno», spiega il sindacato. Le nuove misure per tentare di contrastare la variante Omicron non sarebbero del tutto adottate nelle carceri dove si utilizzano ancora i vecchi criteri. «Al cinema, sui trasporti e in tutti i luoghi di aggregazione pubblica si deve indossare la mascherina Ffp2 – afferma De Fazio – in carcere no, così come non è richiesto il super green pass ai parenti dei detenuti. Il personale – aggiunge – ha l’obbligo di vaccinazione ma i detenuti no». Mancanze che, secondo il segretario generale di Uilpa, non sarebbero da imputare all’amministrazione penitenziaria ma al governo nazionale. «Il decreto festività – conclude – non si occupa del carcere e lo ha emanato il governo».
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