«La logica delle forbici»

Alcuni professori della facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Catania hanno elaborato un documento contro la riforma dell’Università voluta dal governo Berlusconi. E’ il primo atto pubblico formale del corpo docente catanese che protesta apertamente contro i tagli all’istruzione che comporteranno già da quest’anno la contrazione dei servizi e la chiusura di moltissimi corsi di laurea triennale e magistrale. Convocata per il 30 ottobre un’assemblea aperta all’ex Monastero dei Benedettini.

Ecco il testo del documento:
   

Una “nota stonata”.
Il documento settembrino sull’Università del ministro Gelmini.

Nella nota del ministro Gelmini del 4 settembre 2009 vengono annunziate nuove misure, tese a rendere più rigidi gli attuali requisiti per l’erogazione della didattica nelle università. Le Università, che hanno appena adeguato l’offerta formativa al DM 270/2004 e alle nuove classi di laurea, vengono invitate a tenere conto degli obiettivi che il Governo intende perseguire, generando con ciò non poca confusione e disorientamento negli Atenei. Ma analizziamo il documento:

Il documento sembrerebbe perseguire tre obiettivi di fondo:

  1. La “sostenibilità economica” dell’offerta formativa.
  2. L’eliminazione degli ostacoli che si frappongono alla libera circolazione degli studenti.
  3. La erogazione in Italia di un servizio universitario qualificato ed europeo, in coerenza con la dichiarazione di Bologna e con l’Agenda di Lisbona.

Ma in realtà, a ben vedere, è solo il primo punto – la sostenibilità economica – quello che viene considerato prevalente.
Il secondo andrebbe sostanziato per davvero con risorse aggiuntive consistenti, di cui ad oggi non c’è traccia.
Il terzo obiettivo è in sé importante ed apparentemente associato a misure anche condivisibili, quale ad esempio la limitazione al riconoscimento dei crediti extra universitari, che è stato ragione di scandalo in Italia e all’estero.

Siamo però in assenza di risorse dedicate ed aggiuntive al FFO (Fondo di Funzionamento Ordinario dell’Università), con il prevedibile risultato di premiare e sostenere le eccellenze abbandonando al loro destino le altre parti del sistema. Come si può pretendere, ad esempio, che gli studenti italiani abbiano “mobilità” quando l’Italia è il fanalino di coda europeo del diritto allo studio, per mense e residenze universitarie, per borse di studio e assistenza agli studenti disagiati?

Rispetto alla sostenibilità ed alla qualità dell’offerta formativa, risulta marginale la preoccupazione – che dovrebbe essere prevalente – per la sostenibilità didattica, e prevalente quella per la sostenibilità economica.
Si parte dunque, come al solito, dalla logica del taglio e non da quella del funzionamento del servizio e della garanzia dei diritti degli studenti.

La nota parte con l’ammissione del fallimento della riforma del 3+2. Infatti la riforma che ha dato autonomia finanziaria e gestionale agli atenei ha fallito alcuni suoi obiettivi di fondo.
In particolare la nota ammette che le iscrizioni non aumentano secondo la media europea (siamo ancora al 68% dei diplomati); i tassi di abbandono sono ancora elevati (circa il 20% degli iscritti al primo anno); i fuori corso non sono diminuiti (sono oltre il 30%); la mobilità nazionale e internazionale è bassa (l’80% degli studenti si iscrive nella sua regione; solo l’1,3% aderisce a progetti di mobilità europea); le iscrizioni alle lauree magistrali sono al 60% e pare fallita l’idea di una laurea triennale “professionalizzante” e che immetta proficuamente il laureato nel mondo del lavoro.

A questi dati ne va aggiunto un altro, di fondamentale importanza (ma che il ministro tace, ovviamente). La spesa per l’Università rimane in Italia la più bassa d’Europa: l’1,1% del PIL, contro una media europea di circa il 2,4%: ben lontana dunque da quel 3% che l’Europa si è dato come obiettivo; ben lontana dal circa 4% americano o dal 5,5% del Giappone (solo per fornire degli esempi).

Come risponde il nostro illuminato governo a tale condizione difficile, se non disperata, della nostra università?

  1. Restringendo i limiti di utilizzo dei docenti a contratto, che d’ora in poi potranno coprire solo il 20% della docenza

    Ma come si coprono gli insegnamenti se il governo taglia i fondi e blocca i concorsi? Lo sa il ministro che in Italia il rapporto tra docenti assunti a tempo indeterminato e studenti è 1/28, mentre negli altri paesi europei ha una media di 1/14?

  2. Aumentando la percentuale di docenti “strutturati” (assunti, insomma) necessari all’attivazione di corsi dal 50 al 70%

    Ma lo sa il ministro che in Italia sta andando in pensione un’intera generazione di docenti (circa il 20% nei prossimi cinque anni)? E che lei stessa ha previsto che ogni cinque pensionamenti ci sia solo una nuova assunzione? Dunque, niente contrattisti e niente nuovi docenti. E come si produce la “qualità”?

  3. Operando in modo restrittivo nei confronti di quei corsi di laurea che prevedono un percorso per curricula, tagliando moltissimi corsi di laurea e introducendo il numero chiuso “come regola”.

    Insomma, l’obiettivo del ministro è quello di tagliare posti di lavoro, tagliare borse di studio, non fare niente per l’Università, e soprattutto tagliare corsi di laurea. Ma lo sa il ministro che quest’anno sono già stati soppressi oltre 700 corsi rispetto all’anno accademico precedente, portandoli da 5587 a 4842? Lo sa che se si guarda ai confronti europei si scopre che la Francia ne ha 4878, la Germania 8955, il Regno Unito 5009? E di questi dati, in Paesi “normali”, nessuno si scandalizza… E inoltre: molti dei nuovi corsi di laurea provano a rispondere alle mutate esigenze del mondo del lavoro. Come si può invocare il rapporto professioni-università se si tagliano i corsi più innovativi e sperimentali? E’ forse in sé una risposta alla crisi introdurre “come regola” il numero chiuso per tutti i corsi di laurea?

Ma c’è dell’altro. Infatti, il ministro da un lato prevede norme stringenti e rigide per le università pubbliche; dall’altro lascia mano libera alle private (in parte già finanziate da soldi pubblici) che, al momento, non sono vincolate agli stessi criteri. Dunque da un lato un servizio pubblico zoppo; dall’altro i “laureifici” delle private, che potranno attivare corsi di laurea quasi interamente sostenuti dalla docenza a contratto. E’ questa la competizione di qualità, all“americana”, tra pubblico e privato, che vuole il nostro governo?

Per mettere freno alle difficoltà degli studenti e delle famiglie ed aumentare la qualità del sistema sono invece necessari ingredienti del tutto differenti:

  1. Una politica che finanzi il diritto allo studio. Un piano straordinario per mense, residenze, assegni di sostegno e forme di mutuo agevolato alle famiglie disagiate di studenti universitari.
  2. Un piano straordinario di reclutamento di nuovi docenti con norme realmente avanzate e trasparenti. E dunque un progressivo innalzamento del FFO e della spesa per ricerca e alta formazione che giunga in pochi anni al 2,5% del PIL.
  3. Una struttura qualificata di valutazione della didattica, della ricerca e della qualità del servizio erogato dalle università.
  4. Una reale razionalizzazione dei corsi di studio che non produca un “taglio a pioggia” ma intervenga contro sprechi, duplicazioni e inefficienze. Il numero chiuso deve essere uno strumento eccezionale di regolazione del sistema; non un metodo standard per tagliare le gambe agli studenti. E poi, che senso ha lamentarsi dei pochi iscritti dell’università italiana e poi imporre i numeri programmati? Una bella schizofrenia! (una fra le tante…).

Va inoltre ricordato al ministro che gran parte dell’attività scientifica e didattica delle nostre Università può svolgersi oggi soltanto grazie al lavoro di migliaia di giovani ricercatori “precari”, che si sforzano di dare il meglio in condizioni di assoluta incertezza, di lavoro e di vita. Il lavoro di queste persone ed il loro contributo alla crescita culturale e sociale del Paese vengono troppo spesso ignorati. Le riforme dell’Università, senza risorse, non possono che risolversi in ulteriori mortificazioni dei tanti giovani ricercatori che ad essa si dedicano con passione ed in condizioni di
precarietà. Così si rinuncia non soltanto al futuro dell’Università italiana, ma anche al contributo prezioso che già oggi essi danno all’Università ed al Paese.
La condizione del precariato universitario è inoltre drammatica anche per il personale tecnico-amministrativo che con dedizione e competenza regge l’Università stessa sotto l’aspetto burocratico e logistico, spesso senza prospettiva alcuna di un decente inquadramento.

L’Università e la scuola italiane costituiscono il futuro economico, civile, morale e culturale dell’intero paese. Una classe politica degna di questo nome deve affrontare la sua crisi con ricette razionali e convincenti e non con la semplice “logica della forbice”.

Gli studenti e le famiglie devono sapere che a partire da quest’anno aumenterà la contrazione dei servizi universitari, si chiuderanno moltissimi corsi di laurea triennale e magistrale, molti docenti a contratto rimarranno a spasso (come accade già nella scuola) e il nostro sistema sarà sempre meno capace di competere con gli altri sistemi di formazione europei ed extra-europei.
Un paese ignorante e senza futuro, insomma.
E’ questa l’Italia che vogliamo?

Per queste ragioni, studenti, personale amministrativo e docenti della Facoltà di Lingue convocano un’assemblea aperta GIORNO 30 OTTOBRE ALLE ORE 10,00 PRESSO L’AULA A8 DEL MONASTERO DEI BENEDETTINI.

Primi firmatari:
Attilio Scuderi
Antonio Pioletti
Felice Rappazzo
Marco Mazzone
Simona Laudani
Alessandro Lutri
Vincenza Scuderi
Gaetano Lalomia
Giampiero Gobbi

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(es. Studente della Facoltà di Lingue)

 

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