La crisi di Gibilterra: Londra e Madrid ai ferri corti. E sulle Falkland-Malvinas gli inglesi tornano a duellare con l’Argentina. Storie di colonialismo nel 2013

di Giovanna Livreri

Inghilterra, Spagna e Argentina, vanno di scena in questa torrida estate con un tema vecchio di secoli: il colonialismo. Sono veri e propri venti di guerra, se è vero che una formazione di nove navi della marina militare inglese, battente Union Jack, staziona davanti a Gibilterra.

Lo aveva annunciato il quotidiano londinese The Telegraph: la Royal Navy, la flotta è partita lunedì 12 agosto alla volta del Mediterraneo e ha fatto scalo oggi 18 agosto a Gibilterra , proprio in quelle acque da tempo contese con la Spagna.

La notizia dell’arrivo della Royal Navy segue di una settimana la dichiarazione del capo del governo di Gibilterra, Fabian Picardo, che, in aperta provocazione nei confronti di Madrid, aveva chiesto l’invio di navi militari britanniche contro le incursioni spagnole nelle acque territoriali de El Peñón. Una casualità che certo non fa dormire sonni tranquilli ai gibilterrini. (a sinistra, Gibilterra: foto tratta da owitalia.org)

Secondo il giornale londinese, lo spiegamento navale, denominato Cougar 13, è composto da quattro navi da guerra e cinque imbarcazioni di appoggio, che scorteranno la portaerei Hsm Illustrious verso il porto iberico di Rota (Cadice). Fonti diplomatiche spagnole hanno spiegato che le autorità britanniche hanno chiesto il permesso qualche giorno fa per fare scalo a Rota, permesso che è stato accordato.

Un portavoce di Downing Street ha assicurato all’agenzia di stampa iberica che il primo ministro David Cameron aveva informato Mariano Rajoy dell’arrivo della Royal Navy, durante la conversazione telefonica avvenuta tra i due mercoledì.

Questo il tema dietro quale si celano retroscena di rivendicazioni territoriali e di diritti civici vecchi centinaia di anni e mai sopiti. A questo punto facciamo un passo indietro per capire meglio come si è arrivati a tal punto di belligeranza proprio dietro dietro l’angolo di casa nostra.

Abbiamo seguito attentamente la vicenda diplomatica internazionale e possiamo affermare che tutto è cominciato partendo dalla lontana America latina ed è atterrato a casa nostra, nel Mediterraneo. Al centro della questione c’è sempre l’Inghilterra che, oggi, ha due fronti aperti: la già citata Gibilterra e la querelle, mai sopita, con l’Argentina sulle isole  Falkland-Malvinas.

Insomma, storia di colonialismo nel 2013. Proviamo a raccontarle. 

Cominciamo con lo scontro diplomatico Londra-Argentina. Questione antica, riaperta nel 1982 e riesplosa nel gennaio di quest’anno con la presidente argentina, Cristina Kirchner, che, prendendo posizione sulla vicenda Falkland-Malvinas, scrive a Cameron: “Basta colonialismo!” .

Infatti con una lettera aperta al primo ministro britannico, scritta nell’anniversario di quel 3 gennaio 1833 in cui la Royal Navy sbarcò sulle isole, cacciando una guarnigione argentina insediatasi tre mesi prima (“espellere gli argentini che vivevano su quel territorio e sostituirli con coloni britannici fu un clamoroso esercizio di colonialismo del diciannovesimo secolo” si legge nella missiva), la Kirchner dice che Londra deve aprire negoziati sulla sovranità delle isole che furono “strappate a forza” all’Argentina 180 anni fa.

La lettera, che è pubblicata con un annuncio a pagamento sui quotidiani Guardian e Independent, esorta Londra a rispettare la risoluzione ONU del 1960 che invita i Paesi membri “a cessare il colonialismo in tutte le sue forme e manifestazioni”.

La Presidente Kirchner (nella foto a sinistra) ha quindi aperto ufficialmente le nuove danze di guerra per le rivendicazioni di autonomia e indipendenza di alcuni avamposti colonialistici inglesi nel mondo.

Ricorderete la guerra del 1982 per la contesa delle isole provocò la morte di 655 argentini e 255 britannici. Nello specifico, con questa mossa l’Argentina ha riacceso la disputa con la Gran Bretagna sulle isole Falkland, chiamate Malvinas dal Governo di Buenos Aires. Le tensioni sulle isole contestate a largo della costa argentina sono riprese a seguito del trentesimo anniversario della fallita invasione militare argentina.

Di contro, Londra non sembra comunque intenzionata a cambiare opinione sulle isole. Il quotidiano Foreign Office, nell’immediatezza del lancio del guanto da parte della Presidente Argentina, replicava e precisava che “non vi potranno essere negoziati sulla sovranità delle Falkland a meno che lo vogliano i suoi abitanti”. Quindi la strada indicata è quella del referendum che è stato celebrato lo scorso marzo.

Il sito del ministero degli Esteri di Londra afferma che l’amministrazione britannica delle Falkland risale al 1765, mentre Buenos Aires sostiene di aver ereditato le Malvinas dalla Spagna.

Secondo chi scrive, il casus belli, ovvero il motivo di tanta risvegliata contesa attorno alle Falkland, abitate da 3 mila persone, deriva dalla circostanza che è stato recentemente scoperto del petrolio. Ricorderemo come nel mese di febbraio scorso l’Argentina aveva protestato per la decisione britannica di ribattezzare Queen Elizabeth land una porzione di Antartide rivendicata da Buenos Aires.

Pertanto Cameron (nella foto a destra), a seguito dell’esito del referendum a favore della sovranità dell’UK, ha respinto le richieste della presidente Kirchner: “Gli abitanti delle Falkland hanno manifestato chiaramente il desiderio di rimanere britannici”, ha risposto il premier attraverso un suo portavoce.

Al dunque, al marzo 2013 veniva ribadito che le Isole Falkland “rimangono” inglesi. E questa volta è stato il Primo Ministro inglese Cameron a tuonare: “L’Argentina rispetti il referendum”.

A fronte di un’alta affluenza alle urne, l’esito ha visto vittoriosa la supremazia territoriale di Londra. Le isole Falkland rimangono quindi inglesi.

Ma Buenos Aires, che rivendica le isole a poco più di 400 chilometri dalla sua costa, ha fatto sapere di non riconoscere l’esito del referendum. “Speriamo che il risultato suoni come un messaggio che il nostro destino è nelle nostre mani”, dichiara invece il governo delle Malvinas.

Di contro, il premier inglese, David Cameron, ha subito commentato la vittoria schiacciante. “Gli abitanti delle Falkland non avrebbero potuto esprimersi in modo più chiaro”, ha detto. E ha aggiunto: “Vogliono rimanere britannici. Questa volontà dovrebbe essere rispettata da tutti, compresa l’Argentina“.

“Siamo pienamente e incondizionatamente impegnati a rispettare l’identità e lo stile di vita degli abitanti delle Malvinas come facciamo con i 250 mila discendenti dei britannici che vivono in Argentina”, ha dichiarato l’ambasciatore argentino in Gran Bretagna, Alicia Castro, “sono britannici, ma il territorio dove vivono appartiene all’Argentina”.

La questione è quindi rilevante perché introduce un concetto per cui la Gran Bretagna vuole portare la questione delle colonie e, in particolare, delle isole sul terreno del principio di diritto internazionale dell’autodeterminazione della comunità e dei popoli che dimorano in un luogo; mentre l’Argentina rimane ancorata al principio della proprietà e ne fa una questione di sovranità territoriale.

E’ in tal senso giuridico che la Gran Bretagna si è vista vincitrice del referendum, poiché la consultazione, che è stata indetta a più di 30 anni dalla fallita invasione militare delle Falkland da parte delle truppe argentine (2 aprile 1982) ha, di fatto, affermato la volontà sovrana del popolo delle isole Malvinas a rimanere sotto diritto inglese e quindi a considerarsi, di diritto , una parte del popolo inglese anche se a distanza di migliaia di kilometri dall’amministrazione inglese.

In verità molti Paesi latinoamericani si sono schierati a fianco dell’Argentina per difendere il principio della sovranità territoriale e quindi della salvaguardia della proprietà del suolo con tutti i diritti di sfruttamento che ne conseguono, ma il resto della comunità internazionale rimane prudente.

“L’Italia registrerà il risultato espresso dalla consultazione popolare”, hanno riferito fonti del nostro Governo. Una posizione che appare in linea con l’atteggiamento prudente dell’Unione Europea, di cui fa parte la Gran Bretagna, ma anche la Spagna, Paese che contesta a Londra la sovranità su Gibilterra. qI trattati europei menzionano le Falkland fra i territori e i Paesi d’oltremare associati all’Unione Europea. I loro cittadini sono cittadini europei, ma il loro territorio non fa parte dell’Ue.

Cauti sono stati finora anche gli Stati Uniti. “Né io, né il presidente commenteremo un referendum che ancora non si è svolto”, aveva detto il nuovo segretario di Stato, John Kerry, nella sua recente visita a Londra, “la nostra posizione sulle Falkland non è cambiata. Gli Stati Uniti riconoscono di fatto l’amministrazione britannica delle isole, ma non prendono posizione sulla questione della rivendicazione di sovranità territoriale delle parti”.

La crisi di Gibilterra. E così la questione ha dilagato. Poi con il caldo agostano si è allargata aggiungendosi la posizione di Gibilterra, determinando ‘alte temperature’ nella tensione tra Union Kindom e Spagna, che minaccia: “Tassa di accesso per entrare a Gibilterra”.

Infatti Il Governo spagnolo ha annunciato che sta pensando di introdurre una tassa di accesso al suolo britannico di 50 euro in entrata e 50 euro in uscita. Con buona pace dei cittadini della Rocca, sei chilometri quadrati per 30 mila abitanti che non vogliono saperne di diventare spagnoli. Come d’altronde avevano già detto chiaro e tondo all’ultimo referendum del 2002. E circa 2 mila pendolari che ogni giorno varcano la frontiera per andare a lavorare in suolo inglese.

“Trecento anni senza Gibilterra”. Ci si ricorda ancora bene del titolo in prima pagina del giornale El Mundo il giorno dopo l’anniversario del Trattato di Utrecht, firmato il 13 luglio 1713, quando la Spagna cedeva il mitico sperone roccioso, che si affaccia sullo stretto omonimo, alla Corona britannica.

Da una parte la Guardia Civil Iberica pronta a riprendersi El Peñon (così chiamato dagli spagnoli); dall’altra i vecchi cannoni di Sua maestà Elisabetta II, puntati sul fronte a difesa del territorio che per gli inglesi è The Rock. I dissapori, in verità, sono vecchi di decenni. Adesso però “la ricreazione è finita”, ha dichiarato minaccioso il ministro degli Esteri di Madrid, José Manuel García Margallo, in un’intervista concessa domenica al quotidiano Abc.

Secondo chi scrive, ad innescare l’ennesima crisi tra le due Corone, quella di Spagna e quella d’Inghilterra, qualche settimana fa era stata la creazione, da parte degli Inglesi, di una barriera artificiale con circa 70 blocchi di cemento armato gettati in mare davanti alla costa di Gibilterra. Londra infatti considera le acque della Rocca britanniche, mentre la Spagna, che sventola il Trattato di Utrecht dov’è scritto che la sovranità inglese riguarda solo il tratto di mare del porto, pensa che il resto della porzione di Mediterraneo sia sotto la sua competenza.

Frattanto le misure britanniche, secondo il capo della diplomazia spagnola, hanno causato un danno enorme ai pescatori iberici. Così in tutta risposta le autorità spagnole hanno deciso di approfondire i controlli di frontiera in entrata e in uscita da Gibilterra, arrivando a causare fino a sette ore di coda ai caselli.

La spiegazione, tutta inglese, va alla radice del problema ed è stata che Londra non ha mai aderito al Trattato di Schengen. Senza contare il contrabbando di tabacco che, secondo Madrid, parte da quel territorio: 1,3 miliardi perduti nel 2011 dallo Stato iberico. Buona parte per colpa di La Línea de la Concepción, ultima città d’Europa, al confine appunto con la colonia britannica.

Le autorità britanniche, dopo una serie di rintuzzamenti con il Governo spagnolo, hanno mandato un comunicato specificando: “Abbiamo molti interessi in comune con la Spagna e vogliamo continuare ad avere una stretta relazione a tutti i livelli col Governo”.

Non c’è dubbio, d’altronde, che Gibilterra sia un’anomalia, o quanto meno un anacronismo: è l’unica effettiva colonia ancora esistente in Europa. E, al di là dell’essere una delle mitologiche Colonne d’Ercole, ha un peso economico specifico.

The Rock, al contrario delle Malvinas, non ha il petrolio, ma presenta una peculiarità ancora più economicamente rilevante: è un Eldorado fiscale dove operano decine di banche e più di 50 mila società off shore, con un centro finanziario moderno, un piccolo specchio riflesso della City londinese. Senza contare la crescita del settore turistico da quando, nel 1985, gli spagnoli hanno riaperto la frontiera.

Prima infatti, con la politica del dittatore Francisco Franco (nella foto a sinistra), El Peñon era in poche parole off-limits. Quella stessa politica, come l’ha definita il primo ministro di Gibilterra Fabian Picardo, “retrogada e minacciosa”, paragonando le misure portate avanti da Madrid alle chiusure del regime franchista.

Che la questione giri attorno al tesoretto del controllo della Rocca off shore è confermato dalla circostanza per cui il ministro iberico, nella stessa intervista pubblicata sull’Abc, ha aggiunto che la Spagna potrebbe pretendere altri accorgimenti, in qualità di Stato membro dell’Unione europea, come controllare possibili “irregolarità fiscali” dei cittadini gibilterrini che hanno proprietà in suolo iberico, oltre la chiusura dello spazio aereo spagnolo ai voli diretti alla Rocca.

Le cose insomma sono cambiate col Governo Rajoy: la Spagna ha abbandonato i colloqui trilaterali con il Regno Unito e Gibilterra, avviati sotto il Governo Zapatero, e ha richiesto che si riaprano trattative sulla sovranità. Negli ultimi mesi, Rajoy aveva inviato una serie di navi della marina spagnola nelle acque territoriali di Gibilterra. La pattuglia, che aveva il solo compito di fare un giro di ricognizione, aveva incrociato la Royal Navy britannica che gli aveva più volte intimato di lasciare le proprie acque territoriali minacciando serie ripercussioni. Insomma veri prodromi di guerra.

Il premier britannico, David Cameron, ha fatto sapere, per il tramite del suo portavoce, di essere “molto preoccupato”. Downing Street ha anche precisato che Madrid non ha presentato a Londra proposte di imporre un pedaggio da 50 euro per superare la dogana spagnola. “Stiamo cercando una spiegazione alle voci di stampa su questo argomento”, ha affermato il portavoce.

La crisi diplomatica tra la corona britannica e quella spagnola va avanti dal Settecento e neanche Franco riuscì a risolverla. Lo scontro coinvolge direttamente le due case reali. Come quella volta che una visita del principe Filippo fu definita un “affronto”. E Cameron? Si arrabbia, ma alcuni tabloid lo accusano di ipocrisia: “In vacanza va nella penisola iberica”, scrivono.

Ma ripassiamo un po’ di storia per capire qualcosa della lunga disputa su Gibilterra fra Regno Unito e Spagna. Basta considerare una data: fu solo nel luglio 2009 che si tenne, dopo 300 anni, la prima visita ufficiale di un politico spagnolo nella piccola penisola territorio d’oltremare di sua maestà la regina d’Inghilterra. In quei giorni, nel pieno delle discussioni, l’allora ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos varcò il confine, cercò di intavolare una discussione, ma inutilmente: neanche quella volta si trovò una quadra al problema della sovranità di Gibilterra. E sono bastate le vicende degli ultimi giorni a riaccendere una questione che va avanti dal 1713, da quando il regno di Castiglia confermò la sovranità britannica sulla fortezza e sulle terre circostanti, dopo che era stata la stessa Casa reale inglese a prendersi quasi con la forza quelle lande, nel mezzo del caos della guerra di successione spagnola (1701-1714).

Poi, successivi re iberici ci ripensarono più volte e cercarono di assediare in infinite occasioni la penisola, senza alcun successo. E nemmeno la prova di forza – diplomatica – del generale Francisco Franco riuscì a rendere Gibilterra alla Spagna.

Perché, più di una disputa fra due Paesi sovrani, nel caso in questione pare essere in ballo l’autodeterminazione degli abitanti di questo territorio d’oltremare. I quali, più di una volta hanno detto di voler restare “attaccati a Londra”. L’ultima volta fu nel 2002, quando con un referendum respinsero l’ipotesi di un accordo sulla sovranità fra Spagna e Regno Unito. E, dopo quel voto, Londra stabilì che mai più avrebbe discusso delle sorti dello scoglio senza sentire prima il parere dei lontani colonizzati.

Ma la Spagna, chiaramente, continua a provarci. Andando a ritroso, prima dell’annuncio della visita della Royal Navy britannica, poche settimane fa, il 2 agosto, il ministro degli Esteri di Madrid, José Manuel Garcia-Margallo, aveva annunciato una possibile tassa di 50 euro per attraversare il confine fra Gibilterra e Spagna e anche la possibile chiusura dello spazio aereo iberico ai vettori che usano lo scalo del territorio. L’annuncio del ministro è giunto dopo l’iniziativa del piccolo Governo, che ha deciso, a luglio, di potenziare una scogliera artificiale al largo della penisola. Il timore degli spagnoli era semplice: l’industria ittica ne avrebbe avuto solo un danno e il “dispetto” di Gibilterra avrebbe riacceso le tensioni. Cosa, poi, puntualmente avvenuta in questi ultimi giorni.

Già nel 2012, durante il giubileo della regina, c’erano state alcune scaramucce diplomatiche, quando la regina Sofia di Spagna aveva cancellato il suo viaggio a Londra, in risposta alle “continue ingerenze sulle cose spagnole” e a una visita del principe Edoardo proprio a Gibilterra, considerata da Madrid come un “affronto”.

Ancora prima, nel 2009, quattro poliziotti spagnoli furono arrestati nel territorio della corona inglese dopo che avevano oltrepassato il confine mentre inseguivano dei presunti criminali. Nel 2007, invece, le associazioni ambientaliste spagnole avevano accusato Gibilterra di inquinamento “volontario”, così come avveniva agli inizi degli anni 2000, per le continue visite di sottomarini nucleari britannici. Intanto, a Londra si teme che quei quasi 30 mila abitanti di Gibilterra, presto, in Spagna forse non potranno proprio entrarci, neanche in vacanza. Alla faccia dell’Unione europea e della libertà di movimento garantita da vari trattati.

La Gran Bretagna, per tutta risposta, sta valutando un’azione legale contro la Spagna. Il tutto mentre è già salpata da Portsmouth la fregata Hms Westminster diretta verso il Mediterraneo con scalo a Gibilterra nell’ambito di una esercitazione navale che coinvolgerà altre imbarcazioni della Royal Navy.

Frattanto il partito socialista ha chiesto al ministro degli Esteri, José Manuel García-Margallo, di presentarsi in Parlamento per dare una spiegazione sull’attuale crisi diplomatica e sulla proposta di introdurre una tassa di accesso per varcare il confine della Rocca.

Se è vero che quest’ultimo episodio di tensione è uno dei più gravi degli ultimi anni, e anche vero che è improbabile che Spagna e Regno Unito, che collaborano in seno alla Nato e all’Onu, possano arrivare a un vero scontro, insomma ad una vera guerra con tanto di cannonate reali.

Tanto più che tra i due litiganti c’è Bruxelles a vigilare: la Commissione europea ha proposto a Madrid una “missione tecnica” per osservare “sul campo” i controlli alla dogana e porre fine alla polemica del blocco eccessivo denunciato con una relazione, giunta martedì sul tavolo dell’Ue, dal Governo di Gibilterra, ma anche da alcuni eurodeputati britannici che hanno ripreso con un telecamera le lunge code alla frontiera. La proposta è arrivata tra l’altro il giorno dopo la decisione di Bruxelles di organizzare un incontro, forse a settembre o ottobre, per mediare nella crisi diplomatica tra le due Corone.

Intanto Bruxelles monitora la crisi diplomatica tra le due Corone, ma senza sortire alcun effetto tangibile, almeno per ora, e il nostro pensiero va alla mitica Thatcher che sicuramente non ci avrebbe privato di una bella guerra anglo-spagnola dietro l’angolo di casa.

 

 

 

 


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